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L’università che ascolta gli studenti. Parla la psicologa Unito Daniela Converso

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“Quest’emergenza ha creato un’incertezza psicologica nuova. Il nostro supporto serve a normalizzare la situazione di ansia che stanno vivendo gli studenti”. Descrive così il suo lavoro Daniela Converso, professoressa di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni all’Università di Torino. Lei è una degli esperti di Unito che stanno prestando servizio allo Spazio di Ascolto di Ateneo, lo sportello creato per rispondere alle difficoltà della popolazione studentesca.

Lo Spazio esiste dal maggio 2019, ma dal 18 marzo di quest’anno il suo servizio, su volontà del rettore Stefano Geuna, è stato potenziato e fornisce la possibilità di colloqui gratuiti di supporto psicologico a distanza per aiutare gli studenti a superare l’isolamento forzato.

Quante persone si sono rivolte allo Spazio in questi ultimi giorni?

Le richieste che abbiamo registrato dall’inizio dell’emergenza ad oggi sono 650, un numero di assoluto valore se si pensa che dall’apertura del servizio fino al periodo pre Covid-19 solo 480 persone avevano chiesto il nostro aiuto. Delle 650 richieste pervenute finora siamo riusciti a esaminarne solo 120. A questi studenti abbiamo dato gli appuntamenti per i primi colloqui entro la fine della prossima settimana. Nel frattempo stiamo ampliando il numero di psicologi e psicoterapeuti che prestano la loro opera presso lo Spazio d’Ascolto. Contiamo quindi di scorrere abbastanza velocemente la lista d’attesa.

Chi sono gli studenti che vi richiedono un supporto psicologico?

La psicologa Daniela Converso

Tutti i tipi di universitari chiedono il nostro aiuto. Alcuni di loro, per fortuna molto pochi, sono contagiati, oppure sono in quarantena isolati dal resto della famiglia. Per costoro sono pensate forme di supporto più frequenti e importanti dei cinque colloqui previsti con il nostro servizio. Molti poi sono gli studenti fuori sede rimasti a Torino, che avvertono maggiormente il disagio per il fatto di non essere con la propria famiglia. In questo ambito l’ateneo ha pensato ad un particolare appoggio per gli allievi dell’Università e del Politecnico che vivono nella residenza Einaudi o in generale nei collegi. Ci sono due colleghe che si dedicano esclusivamente a loro e forniscono percorsi che vanno anche oltre i cinque colloqui. Anche agli studenti Erasmus che si trovano all’estero è stata comunicata la possibilità di richiedere supporto a distanza, ma ad ora non abbiamo ricevuto richieste da parte loro. Hanno invece chiesto il nostro aiuto alcuni studenti stranieri che sono rimasti bloccati qui in città.

Quali sono i bisogni e le difficoltà della popolazione studentesca?

Rispetto ai primi colloqui che abbiamo tenuto, posso dire che vi è sicuramente un problema legato ad uno stato di disagio, di ansia, non patologica, ma vitale. Gli studenti si sentono minacciati dal contesto. Lo scopo del colloquio è ricondurre alla normalità questa condizione che non è patologica, ma connaturata al senso di vulnerabilità e desiderio di proteggersi degli esseri umani. La nostra funzione è far intravedere alle persone le risorse di cui dispongono e dare suggerimenti su come gestire al meglio la giornata, lo studio, le relazioni sociali in questa condizione. La situazione di isolamento forzato inoltre favorisce quella che noi chiamiamo “slatentizzazione” di qualche altra criticità e cioè l’emersione di problemi latenti. In questi colloqui, talvolta, dal disagio sperimentato stando in casa emergono poi sofferenze anche per confitti con la famiglia o insuccessi personali.

Si sente dire spesso che ci si trova di fronte ad una “incertezza psicologica nuova”. Che cosa significa e che cosa comporta negli universitari?

Quella che stiamo vivendo è una situazione nuova per tutti gli essere viventi che hanno meno di ottant’anni. Stiamo sperimentando una deprivazione della libertà di movimento e di continuità delle relazioni. Nell’arco di quindici giorni si è modificato radicalmente il modo di vivere la quotidianità del 100% della popolazione. Questo non può non dare luogo a insicurezza e ansia. Non abbiamo ancora interiorizzato nuovi modi per sopravvivere a questo periodo, che sarà ancora lungo, perché nessuno di noi ha mai sperimentato l’essere costretti a stare chiusi in casa per più di una settimana, essendo in salute e non essendo imprigionati in ragione di qualche forma di reclusione dovuta a comportamento errato. Le generazioni giovani ne stanno soffrendo in modo particolare, perché costruiscono gran parte della loro vita sulle relazioni sociali, anche attraverso la tecnologia. Le persone adulte o anziane tollerano maggiormente invece l’isolamento a casa.

Tutto ciò che stiamo attraversando in ogni caso modificherà nei mesi e negli anni le modalità con cui le persone studieranno, lavoreranno, proprio perché non si hanno repertori di esperienze alle quali attingere. Diversa è la situazione invece per chi ha già vissuto situazioni di questo tipo. Nei giorni scorsi mi è capitato di vedere due interviste a giovani che vivono a Torino. Una della due ragazze intervistate era di origini albanesi, l’altra invece di Sarajevo. Entrambe raccontavano di come avessero già sperimentato la guerra e quindi la reclusione quando erano piccole. Ecco, loro hanno repertori di esperienza a cui attingere e fare affidamento. Tutti gli altri non hanno alcuna rassicurazione. 

Questo momento di incertezza ha conseguenze anche sulla percezione che gli studenti hanno della loro carriera universitaria?

Sicuramente sì. Posso confermare questo fatto sia in relazione ai primi rimandi ottenuti dai colloqui, ma anche in quanto docente che in questi giorni si confronta con i propri allievi. L’incertezza degli studenti è fondata in gran parte sul fatto che non si sa ancora con precisione come verranno sostenuti gli esami nei prossimi mesi. Bisogna far comprendere agli studenti che c’è grande attenzione e sostegno nei riguardi del loro percorso di studi. Quella che è necessaria ora è un’azione sì di supporto psicologico, ma anche di orientamento per chi inizia a pensare di abbandonare gli studi o di aver scelto una strada sbagliata. Si deve  far capire loro che non è il momento di mettere in discussione le loro scelte, ma di attendere. Altrimenti si rischia di prendere decisioni affrettate e non fondate sull’effettiva necessità di cambiare percorso di studi.

Anche il mondo della psicologia deve affrontare un trauma nuovo. Che consigli date agli studenti?

È necessario darsi dei tempi e delle abitudini. Non bisogna lasciare che questo cambiamento porti a una totale destrutturazione del tempo e della cura di sé. Agli studenti dico di cercare di mantenere le abitudini che avevano prima dell’emergenza. Studiare nelle stesse ore del giorno in cui lo si faceva prima. In merito a questo i docenti stanno facendo lo sforzo di mantenere i corsi d’insegnamento a distanza negli stessi orari in cui li tenevano in presenza. Fondamentale inoltre è seguire le lezioni online, anche se è più facile perdere la concentrazione: servono a mantenere i legami con i docenti e i compagni. Consiglio poi di costruire, quanto più possibile, esperienze comuni con altri studenti o amici coetanei vicini e lontani. In questo la tecnologia può aiutare. Bisogna mantenere una rete sociale di comunità, tanto più se la famiglia è lontana. Si deve fare molta attenzione all’alimentazione: il cibo per i giovani è una possibile valvola di sfogo e compensazione della noia. Poi può essere altrettanto utile fare qualcosa per gli altri, guardare fuori da sé e collaborare. Occuparci degli altri ci fa stare meno concentrati sulla nostra sofferenza personale.

Il prolungamento della quarantena sembra ormai essere certo. Che cosa potrebbe determinare questo nella mente degli studenti?

Se le persone stanno affrontando la situazione basandosi sulla convinzione che il brutto durerà ancora poco, il rischio è che non reggano bene sul medio e lungo periodo. Se l’emergenza durerà ancora a lungo è probabile che gli studenti, cosi come tutti, finiscano le scorte di energia. E allora chi si occupa di supporto psicologico dovrà mettere in campo qualche misura in più per le persone più fragili e vulnerabili. È altresì vero che non si possono supporre scenari che ora come ora non siamo in grado di prevedere. La soluzione è imparare a vivere nell’incertezza, nel non sapere quando questo finirà. A tale proposito trovo che il messaggio “andrà tutto bene”, che tanto è diffuso in questi giorni, abbia molti limiti. Sostengo invece un altro messaggio che è: “ci saranno molti problemi, non andrà tutto bene, ma ce la faremo mettendo in campo risorse personali, sociali, solidali”. Questo è il pensiero su cui costruire la resilienza, altrimenti si rischia di creare illusioni e poi delusioni. La situazione è molto difficile, bisogna mettere in campo energie, ma essere anche capaci di conservarle. Io ammiro molto le generazione dei giovani, coloro che hanno 15, 20, 25 anni: stanno dando una buona prova di resistenza.

NADIA BOFFA

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