La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

L’Ungheria e il giornalismo indipendente sotto attacco

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“Negli ultimi anni abbiamo molto sentito parlare di come il governo ungherese abbia dato un giro di vite alla stampa indipendente. È tutto vero, ma questa è solo metà della storia. Viktor Orbán e le persone a lui vicine hanno preso il controllo di diversi mezzi di comunicazione precedentemente indipendenti e li hanno o chiusi o trasformati nei ‘propri media’. Inoltre, hanno costruito una massiccia macchina propagandistica, che conduce costantemente campagne pro-governative”. Secondo Andras Petho, co-fondatore e direttore esecutivo del centro di giornalismo investigativo in Ungheria Direkt36, non è una novità che anche le democrazie più sviluppate abbiano derive più di destra o di sinistra o simpatizzino per certi partiti piuttosto che per altri. Tuttavia, spiega, “ciò che abbiamo in Ungheria è un unicum, perlomeno nell’Unione Europea o nel cosiddetto ‘mondo democratico’”. La ragione è la vastità dei media filo-governativi: “Non stiamo parlando di alcuni organi di stampa favorevoli a Orbán, ma di un intero ecosistema che comprende centinaia di giornali, siti di notizie, canali televisivi – tra cui l’emittente pubblica e uno dei due grandi canali tv commerciali -, quasi tutte le stazioni radiofoniche del Paese e praticamente tutti i quotidiani locali. Per non parlare dei gruppi pro-governo sui social media e degli influencer, i cui post sono ampiamente distribuiti grazie alle risorse finanziare del governo o dello Stato”.

La “finzione” del giornalismo

Quello tracciato da Petho è un panorama mediatico che non cerca nemmeno di mantenere la finzione di fare giornalismo, ma che serve apertamente gli interessi del governo, promuovendone i messaggi e utilizzandone persino il linguaggio. “Il sito di notizie ungherese Telex ha recentemente pubblicato un’analisi della pubblicità politica sui social media, in particolare su Facebook e Google. La classifica è piuttosto eloquente – spiega il direttore di Direkt36 -. Secondo i loro dati, dal 2019 l’Ungheria ha investito oltre 21 milioni di euro in political advertising. Di questi, più di 15 milioni sono stati erogati dal governo e dai suoi sostenitori. Sebbene queste somme rappresentino soltanto una piccola frazione delle spese di propaganda complessivamente sostenute dall’Ungheria nel corso degli anni, che ammontano a diversi miliardi di euro, l’esempio è significativo”.

Tuttavia – prosegue Petho -, i finanziamenti statali e le conseguenti “distorsioni del mercato” sono solo il riflesso di un problema più ampio. “È importante capire che questa macchina propagandistica non è giornalismo. Non è informazione. Non c’è quasi nessuna autonomia nel sistema. Lo scopo è servire gli interessi del governo e dei partiti, che prendono delle persone – i cosiddetti ‘giornalisti’ o ‘editori’ – a cui danno poi indicazioni rispetto a ciò che possono o non possono coprire. E se c’è un messaggio che deve essere trasmesso, l’intera macchina è pronta a entrare in azione”.

Un’avversione di lunga data

Del resto, “Orbán ha sempre avuto un rapporto conflittuale con i mezzi di informazione – spiega Petho –. È una lunga storia, ma fondamentalmente sentiva che le battute d’arresto all’inizio della sua carriera erano dovute al fatto che i giornalisti erano ‘ingiusti’ con lui'”. Anche perché, aggiunge il direttore di Direkt36, “nella visione del mondo del Primo ministro i giornalisti sono sempre stati al servizio di una sorta di ‘padrone’. In un’intervista a metà degli anni Novanta, Orbán ha persino detto che, secondo lui, i media sono una delle cose più pericolose al mondo. Penso che questo spieghi molto di quello che è successo dopo”. Così, anche se per la maggior parte degli anni Novanta e dei primi anni 2000, “quando non aveva ancora i suoi media o quello che aveva non era abbastanza potente, Orbán ha continuato a rilasciare interviste ai giornalisti, non bisogna pensare che capisse o sostenesse l’idea di un giornalismo indipendente”.

L’iter legislativo

Le riforme legislative avviate a partire dal 2010, quando la Fidesz – il partito guidato da Orbán – ha conquistato per la prima volta la maggioranza parlamentare, hanno radicalmente trasformato il panorama informativo ungherese. Inizialmente, una revisione della legge elettorale ha assicurato alla Fidesz una posizione dominante. Da qui una nuova legislazione sui mezzi d’informazione, che ha aperto la strada al predominio del partito nel settore attraverso l’istituzione di un’autorità direttamente nominata e controllata dal Governo.

“Grazie alla loro super maggioranza in Parlamento, sono riusciti a nominare persone vicine alle loro posizioni. E molto presto, con lo stesso metodo con cui hanno nominato i nuovi leader a loro fedeli, sono poi riusciti a prendere il controllo anche dei media pubblici, allontanando i giornalisti scomodi per il Governo”, spiega Petho. Da qui una lunga serie di “decisioni intelligenti, seppur nel senso diabolico del termine”, aggiunge il direttore di Direkt36: “Tra queste, quella di rendere gratuiti per tutti i servizi dell’agenzia di stampa statale ungherese. Così facendo, però, hanno ucciso anche l’opportunità e la possibilità di qualsiasi agenzia di stampa alternativa. Non si trattava di un gesto di generosità, ma di un modo per tenere sotto controllo il servizio e trasformarlo in un portavoce del Governo”.

Dai media pubblici a quelli privati

Ad ogni modo, “i media pubblici sono stati solo il primo passo. Ben presto hanno iniziato a essere presi di mira anche i mezzi d’informazione privati”, continua Petho. Diverse realtà editoriali sono state acquistate da sostenitori di Orbán, controllate o fatte chiudere. Come nel caso della radio indipendente Klubrádió, che nel 2021 si è vista ritirata la licenza di trasmissione, o del sito di notizie Origo: nel 2014, proprio durante la pubblicazione di una serie di reportage sulle accuse di corruzione rivolte a un ministro, il caporedattore è stato rimosso dal suo incarico e il suo staff lo ha seguito con dimissioni in massa. Lo stesso Petho lavorava per Origo, che “per molto tempo ha rappresentato un ottimo posto per fare giornalismo”, quantomeno prima di essere venuto e di trasformarsi nel “sito di notizie di punta della macchina della propaganda”.

Da qui i timori. “I trend sono piuttosto preoccupanti. In soli 15 anni, il panorama mediatico ungherese è cambiato enormemente – spiega il direttore di Direkt36 –. È fondamentale preservare la nostra indipendenza non solo dal Governo ma anche da altri attori politico-economici, instaurando un legame stretto con il pubblico”.

L’influenza internazionale

Gli esempi sono “innumerevoli”, continua Petho, ma accomunati da un unico obiettivo: attaccare chiunque rappresenta una sfida per il governo, che agisce anche bloccando fusioni e accordi tra mezzi di comunicazione indipendenti. “Se qualcuno sporge il collo fuori, la macchina della propaganda si assicurerà che paghi il prezzo”, avverte il direttore di Direkt36. Che pure conclude: “Se pensate che questo sia solo un problema per l’Ungheria, devo deludervi. Orbán ha molti seguaci, non solo negli Stati Uniti ma anche nell’Unione Europea. Basti guardare cosa sta succedendo in Slovacchia, per esempio, dove i media pubblici sono messi a dura prova. Proprio la scorsa settimana scorsa, inoltre, insieme a  Le Monde e al giornale portoghese Espresso abbiamo pubblicato un articolo in cui spieghiamo come lo Stato ungherese e gli uomini d’affari filogovernativo hanno contribuito a finanziare l’acquisizione di Euro News. Abbiamo anche potuto dimostrare che lo scopo dell’investimento era quello di mitigare i pregiudizi di sinistra nel giornalismo e di essere più critici con l’Ue. Due aspetti, questi, che ben si allineano con gli obiettivi di Orbán stesso”, conclude Petho.

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