“C’è una caccia all’arabo; i gruppi lo individuano e lo colpiscono. E i pestaggi li vedi in diretta televisiva”, racconta Michele Giorgio, corrispondente per Il Manifesto che si trova a Gerusalemme. Linciaggi e violenze continui sono il volto crudo delle tensioni tra le comunità israeliana e palestinese della città santa, ma anche di Haifa, di Jaffa, di Lod. E di Tel Aviv, nel sobborgo di Bat Yam dove il 13 maggio la tv israeliana ha ripreso un uomo palestinese mentre veniva pestato.
Proprio di Bat Yam si parla in una delle chat di gruppo di WhatsApp e Signal scoperte dal giornale indipendente Middle East Eye, in cui gruppi di ultradestra pianificano attacchi contro i palestinesi. Lì, commenta un membro della chat, è stato fatto “un ottimo lavoro”. E poi messaggi motivazionali, come “Non abbiate paura, noi siamo i prescelti” o di tipo organizzativo: “Portate tutto, coltelli, benzina”.
Haaretz riporta che gli attivisti di Lehava e La Familia, movimenti di ultradestra noti per le posizioni nazionaliste e suprematiste, usano i social media per istigare gli israeliani a colpire i palestinesi di Gerusalemme. Come Benzion Gopshtein, leader di Lehava, che ha chiamato a raccolta i sostenitori nel quartiere Sheikh Jarrah per far fronte comune contro gli “aggressori palestinesi”.
“C’è un forte interesse dell’estrema destra a esacerbare la situazione”, dice Giorgio. Questa galassia della politica ebraica, infatti, vive dell’orgoglio di essere il “popolo eletto”. In specie supporta ulteriori, eventuali annessioni della Palestina allo Stato di Israele, come quella della Cisgiordania, e chiede la cancellazione degli accordi di Oslo del 1993, con cui gli israeliani iniziarono a ritirarsi da alcune aree del paese.
Ciò che sta accadendo nelle strade ha poi un filo diretto con le aule parlamentari. Nelle elezioni del 23 marzo la coalizione di ultradestra del Partito sionista religioso (HaTzionut HaDatit) ha ottenuto sei seggi nella Knesset, il parlamento israeliano, con più di 225 mila voti, pari al 5,12% delle preferenze. “Il problema – prosegue Giorgio – è che i militanti non sono solo adulti, ma anche giovani”. E i leader scendono in piazza al loro fianco. Anche Itamar Ben-Gvir, avvocato e capo del partito di ultradestra Jewish Power (Otzma Yehudit), eletto nella Knesset, ha partecipato agli scontri. In particolare nei giorni scorsi, proprio a Sheikh Jarrah e per provocare i palestinesi, ha piantato una tenda per sostenere i gruppi israeliani. Era presente anche Benzion Gopshtein.
“Organizzano cortei e urlano morte agli arabi“, racconta Giorgio. “Poco meno di un mese fa a Gerusalemme c’era già stata una marcia dell’estrema destra, in cui i manifestanti urlavano lo stesso slogan. Giorni di tensione che è passata in sordina a livello mediatico e che ora coinvolge l’intero paese”.
Insomma, uno Stato di Israele che dovrebbe salvarsi da se stesso. “Temo che ci sarà un’ulteriore radicalizzazione a destra di tipo militaresco. I gruppi fortemente ideologizzati che sono sulle strade continueranno a dire che è necessario proteggersi dagli arabi, in un nuovo circuito malato di retorica”.
Gli occhi sono puntati su Gaza, dove al momento si contano 119 morti e 830 feriti. “Questa guerra è ormai un rituale che si gioca sulla pelle dei civili – dice Giorgio -, eterne dimostrazioni di forza di Hamas con i missili e di Israele con gli aerei e con una capacità bellica enorme”.