La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

L’open source al servizio del giornalismo d’inchiesta

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Immagini, video e social media. Ma anche dati satellitari, traffico aereo e i vari tools di Google. Secondo Benjamin Strick, direttore del Cir (Investigations Centre for Information Resilience), sono questi i veri complici per il giornalismo d’inchiesta. Anzi, possono rappresentare la prova schiacciante per far venire a galla una storia. “Oggi non parleremo di come salvare cani e gatti in difficoltà sugli alberi, ma di quanto possono essere d’aiuto i materiali open source per scovare eventuali violazioni dei diritti umani in contesti di guerra”, ha esordito in occasione del festival del giornalismo di Perugia.

Il Cir è una realtà indipendente che collabora con i media di tutto il mondo e con giornalisti inviati in zone di guerra come Myanmar, Sudan e Afghanistan. Con l’aiuto dell’open source provano a raccontare quello che accade e che spesso viene nascosto dai vari governi. “All’inizio di quest’anno in Myanmar – racconta – una bomba lanciata da un aereo ha distrutto vari edifici, tra cui una scuola e una chiesa, e ha ucciso molte donne e bambini. Poco dopo l’accaduto, in rete ha iniziato a circolare un video che mostrava le macerie degli edifici distrutti e i corpi accasciati per strada. Ma il fatto strano è che una giornalista in diretta dalla TV statale ha smentito tutto, parlando di una notizia falsa montata ad hoc da reporter affiliati al terrorismo”.

È qui che entra in gioco il giornalista d’inchiesta. “Per provare la veridicità del video – continua – è fondamentale capire l’orario e il luogo del girato”. E come lo si fa? “Attraverso Google maps e Google earth siamo riusciti a capire che in quella zona sono presenti effettivamente una chiesa e una scuola”. Ma queste prove non bastano. “Il secondo step è stato quello di capire se un aereo avesse sorvolato quelle zone nell’ultimo periodo, servendoci delle immagini satellitari del traffico dei voli. Anche in questo caso l’ipotesi è stata verificata”. Ma ancora non basta. “Serve capire di chi è quell’aereo. Così abbiamo chiamato due design che si occupano di aeroplani. Nel giro di pochi minuti hanno potuto constatare che quell’aereo apparteneva all’esercito militare. La storia era venuta a galla e davanti ai dati, questa volta, nessuno ha potuto smentirla”.