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Lontano dai confini, a creativeAfrica il webdoc che racconta l’altro lato delle migrazioni

Da Torino a Lagos, la capitale della Nigeria, ci sono quasi 6000 km, più di 9 ore di volo. Eppure, dal 9 al 14 giugno, le due città saranno sorelle e abiteranno l’una dentro l’altra.
CreativeAfrica porta a Torino la cultura africana e, in particolare, la Nigeria, paese ospite dell’edizione 2019. In programma, una serie di eventi che spazieranno dalla musica agli incontri, dalla cucina al cinema. Tra gli ospiti più attesi, un’icona della musica nigeriana: Seun Kuti che ha appena pubblicato l’album “Black Times – Last Revolutionary” ricevendo anche la nomination ai Grammy nella categoria world music.

Il festival propone un approccio culturale all’immigrazione africana, attraverso la conoscenza dell’altro. In questo contesto si colloca il WebDoc “Lontano dai confini”, un progetto a cura dell’associazione Renken realizzato dai giornalisti Karim Metref e Mauro Ravarino che verrà presentato martedì 11 alle 17 al Campus Einaudi.

Come è nato il progetto?

R: Volevamo raccontare le migrazioni da un’altra angolazione, non sul confine o nella contingenza dell’emergenza, ma tutto quello che non viene mai detto, quello che c’è prima e dopo il confine. Era un’idea che avevamo già con Renken, un’associazione di cooperazione internazionale, poi grazie al bando di Frame Voice Report, abbiamo potuto realizzarla. Il risultato è un WebDoc interattivo, fatto di foto, video e mappe.

Di cosa parla?

R: Partiamo dal sogno di Élimane, un ragazzo di Thies di 24 anni. Fin da piccolo, Élimane ha sempre avuto un’innata passione per l’italiano, tant’è che, a Dakar, studia italianistica. Il suo sogno era poter studiare italiano in Italia, ma incontra problemi logistici.  
M: L’università della Calabria gli rilascia anche una borsa di studio, ma per entrare nella comunità europea è necessario il visto. Viene richiesto da molte persone, ma il 40% dei richiedenti non lo ottiene. Il problema è che se uno studente italiano volesse partire per studiare a Dakar, non avrebbe problema alcuno. Ma per Élimane – e come per lui, per moltissimi altri uomini e donne – non è semplice.  È un business, in Africa possono viaggiare solo i ricchi. È come una sorta di apartheid basato sulla potenza del passaporto che ci si porta in tasca. 
R: Siamo partiti dalla storia di Élimane per ampliare lo sguardo al caso del Senegal. Abbiamo cercato anche di raccontare le storie dei pochi che decidono di tornare.

Quanto tempo ci avete lavorato?

M: Un anno, facendo diverse pause. Mi piace, tuttavia, pensare a questo webdoc come un lavoro da completare, ci sono molte cose ancora da indagare sull’Africa.

Qual è stata la difficoltà più grande nel realizzarlo?

R: Sono state diverse. La cosa più difficile, ma molto bella, è uscire dagli stereotipi e dai luoghi comuni dell’informazione, ed è una cosa che riesci a fare solo andando là e vivendo in mezzo alle persone. È un’esperienza molto interessante perchè hai la possibilità di confrontarti direttamente con le persone. Al giorno d’oggi siamo spesso vittime della velocità dei media, che non permette di andare a fondo. Noi siamo a lato di tutto questo, cerchiamo delle storie da approfondire dal punto di vista umano, non solo mediatico. 
M: È stato difficile trovare abbastanza materiale significativo che testimoniasse non solo le storie, ma anche la teoria: i media stanno raccontando queste situazioni in modo inesatto. Ora sono tutti convinti che gli africani vengano in Europa da sempre con i barconi, ma non è così. Questo fenomeno è esploso negli anni ‘80-’90, periodo in cui sono nate restrizioni riguardo agli spostamenti internazionali. È un fenomeno recente e non solo africano.

Cosa vi augurate per il futuro del vostro WebDoc?

R : Speriamo che lo veda tanta gente e che riesca a dare una visione diversa delle cose a chi lo guarda. Sarà online da lunedì 10 giugno, su www.lontanodaiconfini.info.
Le conclusioni, poi, le hanno tratte loro. Sono in tanti, più di quanti ci immagineremmo, a dire che il futuro è in Africa e, tra dieci anni, si vedono ancora lì, con delle vite migliori.

 

MARTINA STEFANONI

VALERIA TUBEROSI