Un anno di lockdown, vuol dire stop agli spostamenti e spesso anche al movimento, anche quello atletico. Lo sport piemontese vive il suo stallo e lo stop che rischia di pesare sulla crescita degli atleti italiani, soprattutto più giovani.
Un timore segnalato da Veronica Servente, ex atleta olimpica a Barcellona ’92 e oggi istruttrice alla Reale Società Ginnastica di Torino.
“La gente ha voglia di tornare alla normalità, ma il vero problema sarà riprendere i bambini che sono stati fermi per tutto il 2020. Tanti ragazzi si sono trovati con un percorso interrotto a metà. Dopo aver passato l’intero anno in casa, adesso non avranno molta voglia di ricominciare. Come per il mondo della ristorazione, lo sport potrà rilanciarsi solo con la riapertura degli impianti.”
Pensare di ripartire con la pandemia in corso è un progetto ambizioso, ma si può tentare. A questo è dedicata la nostra inchiesta di comunità che sta affrontando le conseguenze del Covid-19 su alcuni settori chiave come turismo e commercio, intrattenimento, sport e spettacolo. E per questo siamo alla ricerca di storie.
Un allarme che affonda le radici negli ostacoli imposti dal covid. La risposta delle società sportive all’improvvisa chiusura di marzo è stata simile in tutti i campi. Gli atleti piemontesi si sono trovati a organizzarsi su piattaforme fino a quel momento sconosciute. Zoom, Microsoft Teams e Google Meet sono diventate un mezzo obbligatorio per mantenere i contatti. Con tutti i disagi che comportano, specie per gli allenamenti. Gli istruttori segnalano problemi identici: sessioni individuali ripetitive e poco stimolanti. Per non parlare dei problemi di spazio. Non sempre gli atleti abitano in case spaziose. Trovare un programma di lavoro che venisse incontro a tutte le evenienze ha chiesto tempo. Un periodo di assestamento pagato soprattutto dagli atleti più giovani. Come descritto da Francesco Zara, laureato in scienze motorie e preparatore dell’Albese Calcio. “Andando avanti così capita che alcuni ragazzi perdano interesse. Non si tratta solo di un danno fisico, ma sociale. A distanza si crea un distacco con i bambini. Non possono neppure fare comunità tra di loro”.
Una ripresa che potrà avvenire solo grazie alla passione e all’impegno degli addetti ai lavori. Con un occhio in più rivolto al ritorno economico, come spiega Fabrizio Alandi, rappresentante regionale Aic. “L’ultimo anno non ha certo tolto la voglia di giocare a calcio. Questo sport è carburato dalla grande passione degli atleti. Il lockdown però ha aperto gli occhi a molti calciatori, specie sulle aspettative che ripongono sul futuro. Alcuni giocatori hanno delle famiglie da mantenere. Si tratta di pensieri che ti scaricano mentalmente”.
Un fattore economico che ha inciso soprattutto nel destino delle palestre. La seconda chiusura ha spazzato gli sforzi sostenuti dagli impianti sportivi per adeguarsi alle normative covid. Le spese per la sanificazione e la cartellonistica per il distanziamento si sono rivelati superflui con la seconda chiusura. La contromisura delle palestre è stata quindi di tagliare i costi più onerosi. In alcuni casi, la prima vittima è stato il settore agonistico. Una scelta, descritta da Servente, necessaria per mantenere i conti in ordine . “Ci sono alcune società che con il lockdown hanno chiuso il proprio settore agonistico. Dovessero riaprire praticherebbero soltanto i corsi base, ignorando gli atleti agonistici. Una decisione che permette alle società di rimanere in piedi, ma che pagheranno gli atleti in futuro”.