Da un lato la vita, fatta delle attività, dei traffici, delle relazioni, dei desideri, dei timori che una grande città ospita. Dall’altra le previsioni urbanistcihe: un groviglio di calcoli, documenti, cartine e simboli che provano a dare un’immagine di quello che dovrà essere il futuro. In quest’area è previsto un parco pubblico, quella, invece, sarà una zona pedonale. Una pianificazione tecnica che non concede interpretazioni, ma che non sempre tengono conto di quelle che sono le libere scelte dei cittadini che vivono e lavorano in quegli spazi. La sfera domestica viene trasportata in strada, sui marciapiedi, nelle piazze e nei parchi andando a rimodellare quelle strategie pensate da geometri, architetti e ingegneri e poi approvate dalla politica. E così i quartieri diventano lo specchio di comunità allargate che condividono usi, abitudini, tradizioni e spesso anche situazioni di degrado e povertà. Il territorio, quindi, si modella sulla base dell’identità di chi lo vive.
È quanto accade nella New York “orizzontale”, nell’area del ponte Mosca di Torino e nel quartiere Nolo di Milano. Tre casi studio che sono stati presentati giovedì 22 marzo, all’Urban lab in piazza Palazzo di Città in occasione dell’incontro dal titolo “Spazi in cui sentirsi liberi: Publicness e progetto dello spazio urbano”, un appuntamento di Biennale di Democrazia. I tre relatori, la giornalista Francesca Berardi, l’urbanista Alessandro Coppola e il sociologo Giovanni Semi hanno entusiasmato la platea attraverso le loro esperienze.
New York orizzontale
Berardi ha raccontato gli Stati Uniti in particolare l’area che ha definito come New York orizzontale, lontana dai grattacieli e dai locali alla moda. Un mondo sotterraneo fatto di gente che lavora rovistando nei bidoni in cerca di contenitori di plastica da rivendere a pochi spiccioli.
“È facile riconoscerli – dice la giornalista – spingono carrelli da supermercato straripanti di sacchi colmi di bottiglie vuote. Lì ci si può sentire poveri e si possono trasgredire le regole. Sono luoghi fondamentali all’interno delle città e che esistono grazie alle persone che decidono di vivere in questo modo”.
Area ponte Mosca
Anche secondo Semi lo spazio pubblico si modifica in base all’utilizzo che ne fanno i cittadini ed è il caso dell’area del ponte Mosca di Torino, il cantiere aperto tra via Aosta, Lungo Dora Firenze, Corso Giulio Cesare e Corso Brescia, nel quartiere Aurora. Attualmente è recintato con dei pannelli blu che non permettono di vedere cosa c’è dietro, ma il progetto prevede un nuovo studentato per i ragazzi universitari. Nel corso degli anni, però, ha avuto diverse destinazioni.
“È stata una piazza di spaccio di droga – ha dichiarato Semi – poi è stato scelto come campo abusivo per partite di cricket. Prima ancora era una zona industriale e negli anni ’70 ospitava due scuole, crollate nel 1987. Uno spazio che è mutato nel tempo tra usi pubblici e privati in base alle scelte che hanno fatto i cittadini e le amministrazioni”.
Quartiere Nolo
L’urbanista Coppola ha chiuso il dibattito con il quartiere Nolo di Milano. Una zona multiculturale che ha deciso di trasportare la realtà domestica in strada. Lì i cittadini organizzano sui marciapiedi colazioni, pranzi e festeggiamenti. Curano le aiuole, puliscono le strade e socializzano tra loro.
“La politica – sottolinea – ha saputo intercettare questa spinta dal basso inaugurando il progetto “Piazze aperte in ogni quartiere”. Uno degli esempi è piazza Arcobalena, sempre a Nolo, e prende il nome dal mosaico della balena disegnata sull’asfalto. È un crocevia, ma lì i ragazzi giocano a ping pong e bevono spritz”.