“Aspettiamo l’ultimo atleta, speriamo non si sia perso per le piste della Val Chisone”: scherza il presentatore della gara di ski orienteering, ma non del tutto. La disciplina infatti, come suggerisce il nome, prevede di testare in primis il senso dell’orientamento dei partecipanti, quindi la loro velocità sugli sci.
I concorrenti sono infatti dotati di una mappa e una bussola, e, senza poter studiare il percorso in anticipo, devono oltrepassare una serie di checkpoint nell’ordine corretto prima di tornare al punto di partenza. È uno sport nato intorno al 1890 nei paesi scandinavi – una variazione naturale dell’orienteering a piedi – e inizialmente praticato come esercizio di allenamento nelle accademie dell’esercito. In Italia è arrivato negli anni Cinquanta, grazie ad alcuni gruppi legati agli sport militari nella provincia di Bolzano: la prima competizione di orienteering di corsa nel nostro Paese si è svolta nel 1967, e attualmente la federazione nazionale conta circa 2.500 tesserati, contro i 60mila della Finlandia e i 75mila della Svezia.
Anche per questo alla gara sprint maschile del 19 gennaio a Pragelato, sotto una fitta nevicata, non c’erano atleti italiani: due invece le ragazze a partecipare alla femminile, le stesse che oggi, martedì 21, si sono destreggiate nella staffetta sprint mista, facendo uno strappo alle regole. D’altronde l’orienteering non dà molta importanza al genere, tanto che la vincitrice della corsa di due giorni fa, la finlandese Amanda Yli-Futka, ha tagliato il traguardo con un tempo di 13 centesimi di secondo più rapido di quello della medaglia d’oro della categoria uomini, il norvegese Teodor Mo Hjelseth. Solo delusione per le azzurre, un ventunesimo posto per Nicole Riz e una squalifica per mancato passaggio in uno dei checkpoint per Anna Pradel. Le atlete, insoddisfatte delle proprie performance, non hanno voluto rilasciare interviste.
Le condizioni del campo di gara non erano, a detta di Anezka Hlavacova, proveniente dalla Repubblica Ceca, ideali: “la nevicata ha reso il tracciato più lento e le piste più difficili da distinguere”, “era meno facile andare veloce – le fa eco l’austriaca Marie Johanna Varga – ma ognuno ha avuto le stesse difficoltà, quindi va bene così”.
È molto frequente per gli appassionati arrivare allo ski orienteering dopo aver iniziato con quello a piedi: Varga lo ha fatto dopo aver sperimentato lo sport a scuola, “perché mio zio gareggiava sulla neve, e ha iniziato a portarmi con sé”. Hlavacova perché “tutta la mia famiglia si destreggiava su terreno, come fanno in molti nel mio paese, ma io già sciavo tantissimo, ed è stato un passaggio naturale”. Lo svedese Jonas Carllson ha provato per la prima volta dopo il liceo “perché già praticavo il fondo, e ho pensato potesse essere divertente mescolare le due attività”.