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L’Italia verso la fase 2, ma le carceri restano indietro

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L’Italia intera si prepara a entrare nella fase 2 della gestione della pandemia. C’è però una parte del Paese in cui le novità, tutte, arrivano in ritardo. “Alcune carceri da prima del coronavirus sono nella fase zero”, commenta il presidente di Antigone Patrizio Gonnella.  In occasione di una diretta Facebook sulla pagina i Cild – Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili, Gonnella ha dialogato con il Garante nazionale per i diritti delle persone private della libertà personale Mauro Palma. “Siamo totalmente nella fase 1”, ha spiegato il Garante. “Questo non significa che debba essere gestita nella totale chiusura. Le attività dovranno riprendere gradualmente pur sentendoci ancora nella fase della piena emergenza”.

Nelle carceri in questi giorni si vive un clima di attesa. La chiusura degli istituti alle visite dei parenti è stata connessa allo stop dei movimenti sul territorio nazionale. C’è quindi su quello che accadrà a partire dal 4 maggio. In un mese e mezzo di quarantena le azioni per mettere in sicurezza gli istituti penitenziari sono state due: niente più visite ma videochiamate, riduzione delle presenze. La paura che le carceri possano vivere la tragedia delle Rsa per una diffusione incontrollabile del contagio è reale. Perché lo spazio non c’è. Da quando il decreto Cura Italia è intervenuto per limitare il sovraffollamento le presenze sono scese di circa settemila persone. Ma non significa che settemila detenuti sono usciti dal carcere. Oltre la metà sono mancati ingressi.

“La magistratura di sorveglianza ha fatto suo lavoro e in molte realtà ha anche interpretato il decreto in maniera estensiva. Non dappertutto, però”, osserva Gonnella. “Ci sono delle realtà come quella torinese in cui le nostre fonti ci dicono che c’è stata una maggiore chiusura rispetto all’utilizzo dagli strumenti previsti dalle norme. Ci appelliamo perciò alla magistratura di sorveglianza perché si faccia carico di questa situazione e liberi spazio, altrimenti il contagio viaggerà rapidamente”. Gli sforzi devono dunque continuare, almeno per riportare il numero dei presenti al numero dei posti effettivamente disponibili, come sottolinea Palma: “Solo così si possono avere spazi per poter effettivamente isolare le persone positive e affrontare il contagio in sicurezza”.

Per quanto riguarda la sperimentazione delle videochiamate, secondo il Garante è stata ovunque positiva perché molti detenuti hanno potuto raggiungere familiari che per ragioni di età avanzata o di salute non vedevano da diverso tempo. “É una misura che non deve scomparire quando torneranno i colloqui ma deve essere mantenuta”.

Cosa accadrà dopo il 4 maggio non è dunque ancora chiaro. È certo però che fino a quella data gli istituti resteranno chiusi, all’esterno e anche a qualsiasi altro tipo di attività, come il lavoro o lo studio. “In questo periodo nel carcere si sta sperimentando il niente”. È l’allarme del Garante dei detenuti: “Con grande favore abbiamo visto che gli studenti universitari in carcere erano 926, a dimostrazione che il ruolo della scuola si sta affermando. Tutto ciò adesso si è bloccato con un silenzio mostruoso, come se quella fosse solo un passatempo, non un’attività funzionale all’appropriazione del tempo detentivo”.

Palma nei giorni scorsi ha inviato delle lettere ai ministri Bonafede, Azzolina e Manfredi per sollecitare un intervento che permetta agli studenti detenuti di terminare l’anno scolastico in sicurezza. “Il distanziamento in carcere suscita solo ironia, anche nell’aula scolastica”. La chiusura prolungata, benché sembri una valida alternativa alla diffusione del contagio, desta anche preoccupazioni. Perché nella chiusura c’è il rischio di legittimare passi indietro nella tutela dei diritti dei detenuti. “Dobbiamo alzare il nostro livello di monitoraggio”, spiega il presidente di Antigone. “Un carcere chiuso è un carcere più a rischio di violenze. La legge non deve essere un limite alla protezione”.

ROBERTA LANCELLOTTI