Quella di Ilaria Alpi e Miram Hrovatin è una storia in cui tutto si capovolge. Dove chi doveva cercare la verità ha confuso le carte, e a rimetterle in ordine resta solo la perseveranza di giornalisti, di un padre e una madre. Una storia iniziata a Mogadiscio 25 anni fa, il 20 marzo 1994 alle ore 15.05. Una storia con tanti angoli bui ancora oggi, senza colpevoli certi. Eppure qualche certezza ce l’abbiamo.
Sappiamo che Ilaria e Miran sono stati uccisi, vittime di un’esecuzione. Non di una rapina finita male.
Sappiamo che Ilaria si trovava in Somalia per documentare la sua indagine che avrebbe svelato traffici illegali di armi e rifiuti con l’Italia. Non era in vacanza.
Sappiamo che sul luogo dell’omicidio sono stati chiamati militari e diplomatici italiani. Nessuno si fece avanti per avviare alcuna indagine.
Sappiamo che i colleghi di Ilaria a Mogadiscio recuperarono taccuini e cassette con gli appunti e le registrazioni. E sappiamo che di tutto quel materiale in Italia arrivarono solo taccuini vuoti e sei cassette.
Sappiamo che Hashi Omar Hassan, in carcere per 16 anni con l’accusa di concorso nel duplice omicidio, è innocente.
Sappiamo che si è trattato di depistaggio, confermato dalla Corte d’Appello di Perugia nel 2016. Depistaggio di Stato.
Tutto questo lo sappiamo grazie al lavoro di giornalisti, professionisti che per 25 anni non si sono arresi e si sono sostituiti a diplomatici, investigatori, magistrati. Sono loro che hanno portato alla luce le ombre nascoste della vicenda, riscrivendo a ogni passo quella che ad oggi resta ancora una storia senza giustizia. Ma quello che sappiamo non basta.
Lirio Abbate ricostruisce appassionatamente la storia di Ilaria e Miran. Lo fa dal palco del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, davanti a una sala gremita e piena di giovani (l’incontro integrale è disponibile qui).
Abbate ricorda il lavoro della Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Carlo Taormina, che avrebbe realizzato “una vera e propria opera di distrazione di massa”, con il ritrovamento della presunta automobile in cui si sarebbe consumato l’omicidio che, solo anni dopo per richiesta della Procura di Roma, si rivelò non essere la macchina giusta. Il giornalista rievoca gli esiti del lavoro parlamentare, concluso con tre diverse relazioni, e i suoi “risultati stravaganti – racconta Abbate – per non dire offensivi”: anni dopo il Presidente Taormina alla trasmissione radiofonica La Zanzara sostenne che la pista del traffico d’armi era tutta una “buffonata” e che Ilaria “non stava facendo nessuna inchiesta giornalistica, era in vacanza”.
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Ma c’è un altro personaggio in questa storia, oltra a Ilaria e Miran. è Hashi Omar Hassan, il giovane somalo accusato di essere responsabile dell’omicidio e incarcerato per sedici anni per la testimonianza, poi rivelatasi falsa di Ahmed Ali Rage. Anche in questo caso sono i giornalisti a sostituirsi alle istituzioni nel proseguire le indagini.
Ci sono voluti due anni, ma alla fine “Chi l’ha visto” ce l’ha fatta. Chiara Cazzaniga ha trovato il falso testimone somalo Rage, soprannominato Jelle, che aveva fatto perdere le sue tracce alle autorità. Lo dovevano a Ilaria e Mirian. Il 25 febbraio 2015 è andata in onda l’intervista che rivela parte della verità sulla vicenda. “Ho detto che ero lì presente, ma non era vero. Ho detto anche che Ilaria era morta per una rapina, in cambio di soldi per andare via dalla Somalia.”
Proprio grazie al lavoro investigativo portato avanti da Federica Sciarelli e i suoi colleghi, si arrivò alla svolta decisiva del caso che sancì la liberazione del presunto colpevole nell’ottobre 2015. Il Tribunale di Perugia sentenziò l’assoluzione di Hashi Omar Hassan per “attività di depistaggio” che avevano portato alla condanna di un innocente.
Ma chi sono i responsabili di questo depistaggio? A questo interrogativo, ad oggi, una risposta non c’è. Luciana e Giorgio, i genitori di Ilaria, se ne sono andati senza questa e altre certezze.
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“Giornalisiti continuate a fare domande, fate domande!”
Lirio Abbate saluta la platea così.
I giornalisti continuano a cercare.