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Embraco, l’ultimatum di Calenda: “Giovedì stop ai licenziamenti o sarà guerra”

“Dobbiamo continuare a lottare fino a giovedì, per me e per il governo italiano non esiste l’opzione che i licenziamenti non vengano ritirati”. Queste le parole pronunciate ieri sera, 8 febbraio, dal ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda al termine di quattro ore di trattative nella prefettura di Torino con i sindacati e i legali dell’Embraco, l’azienda che a inizio gennaio ha licenziato 497 operai dello stabilimento di Riva di Chieri per delocalizzare la produzione in Slovacchia. “Giovedì mattina abbiamo un appuntamento a Roma dove l’azienda deve presentarsi e firmare l’accordo per la cassa integrazione”. Embraco si è detta disposta ad accettare le richieste italiane ma l’ultima parola spetta ora alla Whirlpool, la multinazionale americana a cui fa capo l’azienda brasiliana. Se non verrà rispettato l’accordo, Calenda ha promesso una guerra: “Ho parlato con il ministro degli Esteri Alfano e gli ho chiesto di fare un passo formale con il governo per verificare se l’accordo fiscale con l’Embraco possa preludere a un aiuto di Stato”.
Mancano ancora 44 giorni al 26 marzo, quando i licenziamenti diventeranno effettivi e finirà la finestra consentita per le trattative. La speranza dei lavoratori e dei sindacati, Uilm e Fiom-Cgil, è che, dopo la cassa integrazione, venga avviato un piano di reindustrializzazione per far sì che una nuova impresa rilevi lo stabilimento. “Teniamo tutti i nervi saldi” ha ammonito Calenda, ma la tensione in piazza era forte. Per ore gli operai sono rimasti ad attendere notizie davanti al cancello della prefettura, intonando l’inno di Mameli, urlando slogan. Applausi per Calenda ma alcuni restano scettici. “Stanno solo prendendo tempo”.

La protesta era iniziata alle 15 quando un centinaio di manifestanti, tra lavoratori e sindacalisti, si è radunato in piazza Castello un’ora prima che iniziassero le trattative. Bandiere, striscioni e cori per chiedere la sospensione dei licenziamenti conseguenti alla decisione dell’Embraco di trasferire la produzione: “Molti slovacchi sono venuti da noi per acquistare professionalità e hanno imparato il lavoro. Adesso il lavoro che facciamo noi lo fanno a casa loro. Noi eravamo 2000 e loro 500. Adesso i ruoli si sono invertiti e loro sono diventati più di 2000” racconta Gianluca Ugliola.

Ma la crisi non tocca solo gli operai dell’Embraco. In piazza c’erano anche i dipendenti della Carlson Wagonlit, l’azienda che ha deciso di chiudere la sede torinese, dopo averlo fatto nelle filiali a Padova, Bologna e Firenze. Anche in questo caso per spostare i finanziamenti nelle sedi estere, in particolare in quella polacca.

LUCREZIA CLEMENTE

GIUSEPPE GIORDANO

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