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Leningrado. Tornatore e Morosinotto raccontano una storia lunga mille giorni

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Hanno parlato della stessa storia, sconosciuta ai più, senza che uno sapesse del lavoro dell’altro. “Sono le coincidenze che capitano, più spesso di quanto si pensi”, commenta lo scrittore Davide Morosinotto. Soprattutto al Salone del Libro di Torino. Vincitore lo scorso anno del premio Andersen, il più prestigioso per chi scrive per ragazzi, alle 13.30 Morosinotto presentava a un pubblico adolescente La sfolgorante luce di due stelle rosse (Mondadori), la sua versione dell’assedio nazista di San Pietroburgo, allora chiamata Leningrado. Tre ore più tardi, in un’affollata Sala Rossa, il regista premio Oscar Giuseppe Tornatore parlava di cinque anni di lavoro dedicati alla città russa e diventati un libro Leningrado (Sellerio), scritto insieme a Massimo De Rita. Una sceneggiatura perfetta, mai diventata film.

Durante la Seconda guerra mondiale Leningrado rimase per quasi mille giorni isolata dal resto del mondo, circondata solo dalle forze naziste. Senza aiuti e senza cibo per un tempo interminabile, nei calcoli dei nutrizionisti tedeschi la popolazione non avrebbe potuto in nessun modo sopravvivere. Eppure, gli abitanti sopravvissero. Si trattò dell’assedio più lungo del conflitto, dal settembre del 1941 al gennaio del 1944, “l’epopea più incredibile di tutte” come l’ha definita il giornalista Enrico Deaglio mentre introduceva il lavoro di Tornatore. Un episodio che non si conosce perché lo stesso Stalin cercò di offuscarlo, eliminando i capi della Resistenza leningradese e insabbiando la Storia.

“In genere sono i registi a proporre le storie ai produttori – racconta Giuseppe Tornatore – e a me non era mai successo il contrario. Questa è stata l’unica eccezione”. Anni prima Sergio Leone si era interessato alla storia e aveva accennato un abbozzo di sceneggiatura: al regista siciliano viene chiesto di riprendere in mano quell’idea. Inizia così un lavoro di ricerca lunghissimo: Tornatore chiede un anno di tempo per rifletterci, ma gliene servono altri quattro per raccogliere il materiale. Trascorre mesi interi a San Pietroburgo: “Mi sono trovato dentro la città e non riuscivo a scrollarmela di dosso”. Una storia analoga a quella che racconta ai ragazzi Davide Morosinotto: “Sono abituato a scrivere molto in fretta, ma in questo caso mi ci sono voluti più di tre anni a completare il libro per tutto il lavoro di ricerca che ci è stato prima”.

I due autori si completano: Tornatore racconta gli orrori dell’assedio attraverso la storia di una violoncellista e dei suoi figli. Morosinotto la storia dei tredicenni Viktor e Nadja che vengono evacuati in tutta fretta all’avvicinarsi dei nazisti su quelli che venivano chiamati “i treni dei bambini”. Il regista racconta della fame, quella che fa staccare la carta da parati dai muri per recuperare la colla fatta con la farina e ricavarne del pane: “Solo le donne potevano pensare a una cosa del genere”. Lo scrittore parla della fuga in Siberia e della polizia sovietica: “A un certo punto ho temuto che Viktor, ferito, nella neve e a – 30°, morisse. E allora mi sarei trovato a metà del libro senza più il protagonista”. I due adolescenti, però, sopravvivranno, perché hanno il compito di fare da esempio: “Voi siete nell’età perfetta per far cominciare una storia perché potete tutto”, dice Morosinotto ai ragazzi.

Entrambi gli autori sono rimasti colpiti dal divieto sovietico per la popolazione di tenere diari segreti perché avrebbero potuto fornire informazioni preziose se fossero finiti nelle mani del nemico. “Ma rimanendo tagliati fuori dal mondo, paradossalmente, i Leningradesi sono diventati più liberi, non erano più soggetti al potere statale”, spiega Tornatore. E così durante l’assedio, mentre aspettano di morire, quasi tutti gli abitanti si fermano a scrivere le proprie giornate. Non solo: vanno a cinema, a teatro, leggono e recitano poesie in radio (altro divieto infranto). “Oggi tutti dicono che con la cultura non si mangia. Invece la cultura è un alimento straordinario e Leningrado lo dimostra. È stato il cibo che ha tenuto in vita quelle persone”, sostiene Tornatore. E anche il libro di Morosinotto è sotto forma di diario, anzi due. Fratello e sorella li scrivono quando si ritrovano separati uno dall’altra e i quaderni finiscono poi al vaglio di un colonnello dei servizi segreti sovietici.

Il film, alla fine, Tornatore non lo ha mai girato. E sì che Clive Owen si era candidato spontaneamente e si pensava a Nicole Kidman per il ruolo della protagonista. Il motivo: una questione soprattutto economica. E poi, fino a che punto far dimagrire dei personaggi che non mangiano per 900 giorni? La scrittrice Elena Stancanelli glielo ha chiesto: “Come si esce dalla delusione per un progetto incompiuto?”. “L’amarezza è annullata dalla grandiosità dell’esperienza”, è la risposta. Tuttavia, se avesse tanti soldi, forse la pellicola la farebbe. “È una storia che prima o poi spero che qualcuno racconti perché è attuale – conclude Tornatore -. Oggi il mondo mi sembra una gigantesca Leningrado: anche se il nemico non lo vediamo, viviamo nella paura che ci colpisca”.

Da sinistra Elena Stancanelli, Giuseppe Tornatore ed Enrico Deaglio al Salone del Libro di Torino
Da sinistra Elena Stancanelli, Giuseppe Tornatore ed Enrico Deaglio al Salone del Libro di Torino
CORINNA MORI

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