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Legge elettorale e voto anticipato, che succede in finanza?

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Quando i mercati subodorano dubbio e incertezza, reagiscono subito. E tendenzialmente la risposta è tutt’altro che positiva: l’ennesima conferma è arrivata dalla chiusura in ribasso di inizio settimana della Piazza Affari, appesantita da titoli bancari ma soprattutto dalla discussione, ancora aperta, su legge elettorale e voto anticipato.

Sono infatti bastate le dichiarazioni su un possibile voto in autunno di Matteo Renzi a far ripartire lo spread, l’indicatore che misura il differenziale dei rendimenti dei titoli di Stato dei diversi Paesi. Il termine di paragone è sempre il Bund tedesco: il titolo di Stato della Germania è quello più stabile e col rendimento minore. Il rendimento, cioè il tasso d’interesse che gli investitori ottengono alla fine del periodo coperto dal titolo di stato, dipende a sua volta dalla stabilità del Paese.  Funziona così: Se finanze o politica dello Stato navigano in cattive acque, il rischio di non vedere un ritorno del proprio investimento cresce. Per attirare nuovi capitali, la soluzione è rendere più attraente il titolo di Stato aumentando gli interessi ottenibili dal bond. Più rischio, più guadagno.

Il problema dell’incertezza ha creato gravi problemi già durante la crisi economica del 2008 e si ripresenta tutte le volte che all’orizzonte c’è un’importante scelta politica: anche prima del referendum del quattro dicembre lo spread era tornato a crescere. Questa volta i dubbi dei mercati nascono dal possibile esito delle elezioni: una vittoria del Movimento5Stelle o della Lega potrebbe creare conseguenze importanti sulla continuità dei programmi economici italiani.

L’importanza dello spread sta tutta nel valore del rendimento: il “premio” che va agli investitori per aver ceduto capitali a uno Stato “a rischio” come l’Italia o la Grecia si traduce in un maggior costo che deve sostenere il Paese. Finanziare il fabbisogno monetario dello Stato con il debito diventa così molto più oneroso, perché oltre alla restituzione della quantità di denaro presa in prestito il Governo deve occuparsi anche di pagare interessi sempre più alti.

La trafila è sempre la stessa: basta un dubbio minimo e, grazie al movimento del tasso di interesse, la conseguenza per le finanze statali è inevitabile. Per evitare però la conseguenza peggiore dell’incertezza, che cioè nessuno voglia più acquistare titoli di Stato è intervenuto nel 2009 Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea. Il programma messo in atto da Draghi per migliorare la situazione dopo la crisi del 2008 si chiama Quantitative Easing e prevede l’acquisto di titoli di Stato da parte della Bce con del denaro creato ad hoc. Quest’operazione però ha due conseguenze: da un lato tiene basso il tasso d’interesse, perché le aste dei Paesi non restano mai senza compratori, dall’altro immette liquidità nel sistema, che dopo la crisi è rimasto bloccato su concessione di crediti e circolazione del denaro.

Per ora, nonostante l’Eurozona si stia lentamente lasciando alle spalle gli anni più, il Qe verrà ancora prolungato.

Nonostante le ciambelle di salvataggio di Draghi, il problema rimane la prospettiva delle elezioni anticipate, che dà ai mercati materiale sufficiente per scommettere sulla pelle dell’Italia.

LISA DI GIUSEPPE