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Le tappe della guerra partigiana

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Ha quasi 105 anni Bruno Segre, avvocato, antifascista che partecipò alla guerra partigiana, eppure ricorda oggi, con commozione, la sua esperienza tragica ma unica, come quella di tanti sui compagni. “Sono stato condotto qui nel settembre del 1944 — racconta durante la cerimonia di commemorazione dei partigiani caduti, incarcerati e torturati presso la caserma La Marmora in via Asti — e sono stato sottoposto alle torture più crudeli. I fascisti mi hanno condotto alla finestra e minacciato di farmi cadere ne vuoto se non avessi confessato chi mi aveva dato rifugio.” In via Asti tanti entrarono e molti non uscirono vivi: alcuni morirono in seguito alle sevizie, altri furono fatti sparire nel nulla e altri ancora consegnati ai tedeschi e deportati in Germania. 

Tutti iniziò nel settembre del 1943. Con la firma dell’Armistizio di Cassibile, il Governo Badoglio cercò di far uscire il Paese dalla guerra, ma i tedeschi occuparono la parte d’Italia ancora non liberata dagli Alleati. Il 10 settembre l’antifascista Emanuele Artom scrisse sul suo diario “I tedeschi sono entrati ieri sera a Torino e circolano le voci più folli; che tagliano le mani alla gente […] mezza Italia è tedesca, mezza inglese e non c’è più un’Italia italiana.” Il 12 le SS e reparti dell’aviazione germanica liberarono Mussolini dal Gran Sasso e lo convinsero a costituire un governo fascista nella zona d’occupazione. Gli squadristi si riorganizzarono e anche a Torino misero in piedi le loro “istituzioni”. Il 6 ottobre 1943 fu ricostituito il Fascio repubblicano di combattimento, con Giuseppe Solaro commissario. La sede fu allestita nella Casa littoria di via Carlo Alberto 10, l’attuale Palazzo Campana. In Via Asti fu istituito il comando dell’Ufficio politico investigativo della Guardia nazionale repubblicana, diretto dal colonnello Giovanni Cabras. In quel sinistro luogo passeranno in tanti e spesso alla crudeltà della guerra civile si mescolavano briciole di umanità. “Qui fu incarcerata anche la mia compagna di lotta Frida Malan, che, tra un maltrattamento e l’altro, ricevette la proposta di matrimonio da parte di un carceriere.” Ma la maggior parte ricordano quel luogo come la caserma delle ossa rotte: uno degli aguzzini, Michele Bonaglia, veniva addirittura soprannominato lo spaccapietre. Per via della sua crudeltà fu condannato a morte e ucciso dai partigiani a Druento, il 2 marzo 1944.

Bruno Segre fu fortunato, dopo essere stato trasferito alle Carceri nuove, fu liberato grazie al pagamento del riscatto da parte di un parente facoltoso. “In seguito raggiunsi i partigiani a Pradleves, nel Cuneese, dove ho passato alcuni dei momenti più belli della mia vita. Ogni tanto torno in Valle Grana, ma mi fa effetto vederla così cambiata rispetto ad allora.”

Luoghi di memoria e di storia

La caserma di via Asti non è l’unico luogo di Torino che fu adibito a detenzione e tortura. In via Roma, nell’Albergo Nazionale, dal 25 settembre 1943 era insediato il servizio di Polizia di Sicurezza tedesca Sipo – Sd, sotto la direzione del maggiore delle SS Hugo Kraas e del tenente Alois Schmidt. Schmidt, in particolare, fu responsabile di stragi e torture: nell’aprile del 1944, per vendicare la morte del caporale tedesco Walter Wohlfahrt, ordinò l’esecuzione di 27 giovani al Pian del Lot. Né Kraas né Schmidt pagarono per i loro crimini dopo la guerra.

Anche Palazzo Campana, all’epoca Casa littoria, era un sinistro luogo di sevizie e di morte. Dopo la militarizzazione del Partito fascista repubblicano nel luglio del 1944, divenne sede della Brigata nera “Ather Capelli”. Tra gli aguzzini si era distinto Tullio De Chiffe, giovane studente di medicina promosso comandante del gruppo d’azione giovanile della Brigata nera. La sera del 12 marzo 1945, con alcuni brigatisti in borghese, arrestò Gaspare Arduino, Vera Arduino, Libera Arduino, Pierino Montarolo, Alberto Ellena e Rosa Ghinzone. Le sorelle Arduino erano particolarmente conosciute: antifasciste, partigiane e femministe avevano diffuso anche nelle fabbriche dove lavoravano i loro ideali. Furono uccise con un colpo alla nuca sulla sponda del Canale Pellerina, dopo aver subito violenze. Il padre Gaspare e Pierino Montarolo furono fucilati in corso Belgio.

Ma tra tutte le storie nessuna forse può colpire come quella di Emanuele Artom. Catturato dalle SS Italiane a fine marzo del 1944, fu torturato in maniera disumana. Ridotto a un cumulo di sangue, con la vescica rotta dai colpi di baionetta, morì alle Carceri nuove il 7 aprile del 1944. Il suo fragile corpo, abbandonato dai tedeschi sulle rive del torrente Sangone, non fu mai ritrovato.

Ad Artom è dedicata una via a Torino. All’angolo con via Candiolo è presente un murales. Si nota il suo ritratto con le catene che si spezzano. In uno stile moderno lancia un messaggio di 78 anni fa, che fonde il presente con il passato, lo lega a noi e ci rende parte della storia della quale – volenti o nolenti – facciamo parte. 

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