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Le mafie non si combattono da soli. Il lavoro in team dei giornalisti investigativi

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Lavoro di squadra, creazione di team internazionali e cooperazione con le fonti: sono questi gli ingredienti per realizzare inchieste sulla criminalità transnazionale secondo Cecilia Anesi, giornalista e co-fondatrice di IRPI, Investigative Reporting Project Italy. Il gruppo, nato tra il 2011 e il 2012, ha realizzato reportage di giornalismo investigativo di rilievo internazionale ed è stato protagonista a Perugia del panel “Investigare sulle mafie più potenti al mondo”. Dal Senegal a Reggio Calabria, passando per relazioni tra mafie, massoneria e politica, il motto di IRPI è di essere glocal: per seguire i rapporti tra criminalità di diversi Paesi, infatti, lavorare da soli non basta. “Bisogna costruire team di almeno due persone, sempre, e collaborare con le persone del luogo” dice Cecilia. “Ma il supporto più grande arriva dalle fonti, dalla società civile: per questo per noi la collaborazione con GlobaLeaks è fondamentale”. Il whistleblowing è la nuova frontiera di supporto alle grandi inchieste, sostengono i ragazzi di IRPI, senza cui molti lavori di approfondimento sarebbero bloccati sul nascere. “La cosa migliore, spesso, è essere aiutati dai giornalisti del luogo” aggiunge Lorenzo Bagnoli, giornalista freelance autore di diverse inchieste sulle infiltrazioni mafiose in Africa. “La mafia cambia, ma è dagli anni ‘80 che sappiamo che non è più solo un fenomeno locale”, aggiunge. Bisogna conoscere il fenomeno e capire come superare le difficoltà nel raccontarlo a cavallo tra diversi Paesi.

A volte, però, si resta soli: “L’intimidazione delle mafie oggi non arriva più tanto dalle minacce fisiche, che creerebbero dei martiri. Passa piuttosto dalla delegittimazione, dall’isolamento, soprattutto quando si investigano le relazioni tra criminalità e istituzioni”, sostiene Claudio Cordova, direttore de Il Dispaccio. Oltre a seguire i flussi di denaro internazionali, infatti, per comprendere la mafia oggi bisogna guardare alla massoneria. Cordova parla di “massondrangheta” per definire quelle ibridazioni oggi sempre più evidenti tra politica e criminalità organizzata. Anche per questo il lavoro in team è fondamentale: mai restare soli, o si resta isolati nell’ombra.
Insomma, il futuro del giornalismo sta proprio qui: senza collaborazione tra giornalisti alcuni pezzi della “filiera” si perdono, ed è difficile raccapezzarsi tra le intricate strade della criminalità internazionale. Se il team è composto da freelance, però, alcuni problemi aumentano in modo esponenziale: secondo Craig Shaw è difficile poter seguire storie a lungo termine, mentre secondo Cecilia Anesi questo permette anche di portare avanti più investigazioni contemporaneamente, ottenendo i fondi per diversi progetti. La prospettiva è quella di un mondo del giornalismo in divenire, fatto di ragazzi che si spendono quotidianamente per raccontare quello che i media tradizionali non riescono ad approfondire.

CAMILLA CUPELLI