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Le fake news sono una minaccia per la sicurezza nazionale

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Le fake news rappresentano un pericolo per la tenuta democratica del nostro paese e per l’intera sicurezza nazionale, al pari della radicalizzazione di estrema destra, delle narcomafie e del terrorismo jihadista.

È quanto emerge dalla lettura dell’ultima Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza, relativa all’anno 2020, curata dal Comparto Intelligence (DIS, AISE e AISI) e pubblicata lo scorso primo marzo.

Le 122 pagine stilate dagli 007 evidenziano come, nell’anno del COVID, gli attacchi cibernetici contro assetti rilevanti per la sicurezza nazionale siano aumentati del 20%. Più in generale, l’indagine è stata focalizzata sul “ricorso all’utilizzo combinato, da parte dei principali attori ostili di matrice statuale, di campagne disinformative e attacchi cibernetici, volti a sfruttare l’onda emotiva provocata dalla crisi sanitaria, nel tentativo di trasformare la pandemia in un vantaggio strategico di lungo termine”.

Il documento riserva un’attenzione particolare al tema della diffusione della disinformazione online e delle fake news pandemiche: l’emergenza sanitaria ha prodotto un aumento consistente nella circolazione di campagne disinformative e notizie fuorvianti, caratterizzato da “costanti tentativi di intossicazione del dibattito pubblico, attraverso attività di disinformazione e/o di in­fluenza, nel contesto di più ampie campagne ibride”, scrivono i servizi segreti nella loro relazione annuale al Parlamento.

In particolare, è stata registrata un’elevatissima produzione di pseudonotizie e narrazioni allarmistiche, sfociate in un surplus informativo di difficile discernimento per la collettività e nella conseguente dilatazione dei “margini di intervento per attori ostili propensi all’uso combinato di più strumenti a fini manipolatori e d’influenza”.

Ad alimentare l’impennata di questa infodemia sistemica – ossia la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, spesso non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili – hanno contribuito i meccanismi posti alla base del funzionamento dei social media, in primis gli algoritmi utilizzati dagli Internet Server Providers (ISP). Logiche “tendenti a creare un ambiente autoreferenziale ed autoalimentante, fondato sulla condivisione dei contenuti e delle relazioni di interesse che, polarizzando l’informazione disponibile, ne alimenta quindi la percezione parziale e faziosa”.

È ormai noto come gli ISP impieghino algoritmi capaci di selezionare la tipologia di informazioni da proporre ciclicamente all’utente: questa scelta non tiene conto dell’attendibilità e verificabilità delle notizie, ma tende a privilegiare quelle che rispecchiano il suo modo di pensare. Di conseguenza, l’utente tende a chiudersi dentro una sorta di “bolla” – The Filter Bubble, per usare un termine coniato nel 2011 da Eli Pariser – costruita sulla base delle idee e delle opinioni di determinati fruitori.

Questo meccanismo conduce alla creazione di spazi chiusi che limitano fortemente il confronto tra diversi punti di vista, tende a filtrare la realtà dei fatti e ad amplificare la circolazione di fake news all’interno di sistemi chiusi.

La strada indicata dal rapporto è piuttosto chiara: occorre imparare a distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è, leggere le notizie con senso critico e consultare il più possibile le fonti ufficiali.

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