Rispetto al 2019, la popolazione straniera residente nel 2024 nel territorio della Città Metropolitana di Torino è cresciuta dell’8,7 per cento e dello 0,5 per cento rispetto al 2023. La maggior parte degli stranieri residenti è in età attiva, cioè tra i 15 e i 64 anni, nonostante un tendenziale invecchiamento: si è passati infatti da 33 under 15 ogni 100 over 65 a 22 under 15 ogni 100 over 65. È quanto emerge dal Rapporto 2024 dell’Osservatorio Interistituzionale sulle persone straniere nella Città Metropolitana di Torino, presentato oggi 16 dicembre a Torino.
Sonia Cambursano, consigliera della Città metropolitana di Torino, commenta: “Questo dimostra una tendenza alla stabilizzazione, e ciò significa che l’integrazione ha avuto successo ma il dinamismo si sta abbassando. Il rischio è che in un territorio già a rischio spopolamento anche la popolazione straniera possa avere delle flessioni tali da mettere a rischio la continuità nell’erogazione dei servizi del welfare”.
Verso la stabilizzazione: cittadinanza e lavoro
“Il focus dell’edizione 2024 – spiegano le curatrice Roberta Ricucci e Roberta Valetti – è sulla stabilizzazione. Parlare di stabilizzazione, però, non significa dimenticare che sono in atto altre mobilità, nel territorio metropolitano e nazionale, e nuovi arrivi. La stabilizzazione, però, ci mette davanti all’esigenza di ripensare, di riprogrammare”. Per affrontare il tema, aggiungono, sono state scelte due comunità – quella marocchina e quella peruviana – che da tempo sono presenti nel territorio torinese e a cui si stanno sommando altre provenienze, come il Bangladesh o il Pakistan. Per questi ultimi due Paesi, i flussi di arrivo sono ancora in corso. E se la stabilizzazione, in molti casi, passa per la cittadinanza “ci sono alcune sollecitazioni, come quella dei neo-maggiorenni che chiedono una maggior diffusione delle modalità di acquisizione della cittadinanza”, spiega Ricucci.
Fondamentale nel processo di stabilizzazione è il lavoro, “che è una leva molto forte, ma purtroppo ancora al ribasso nonostante i dati degli infortuni sul lavoro siano sempre più vicini a quelli dei cittadini italiani”. Lavoro, però, è anche impresa: in prospettiva, per valorizzare il contributo delle imprese a titolarità straniera si dovrà lavorare “sulla costruzione di competenze e degli altri corollari che sostengono un’impresa. Per la maggior parte, le imprese guidate da persone straniere sono microimprese. Se la presenza di microimprese è strutturale su tutto il territorio, per la comunità straniera questo rischia di tradursi in difficoltà a ottenere, a esempio, accesso al credito”.
La stabilizzazione, che passi per il lavoro o per la cittadinanza, secondo Valetti “significa spostare lo sguardo dalla gestione del caso singolo alla costruzione di un’autonomia” che è già l’obiettivo degli operatori dei servizi e degli enti di frontiera. “Il quadro occupazionale dipendente mostra un concetto di segregazione occupazionale – spiega Alberta Coccimiglio -. Ci sono infatti concentrazioni di lavoro dipendente in alcuni settori, come i servizi alla persone o alle imprese, che presentano profili professionali bassamente qualificati”. In altri spazi economici, come la ristorazione o l’edilizia, l’imprenditorialità di cittadini stranieri compensa il calo della presenza italiana: nel medio periodo, infatti, crescono le imprese guidati da stranieri, compensando così la perdita di attività guidate da cittadini italiani.
Proprio da quell’osservatorio privilegiato arriva la segnalazione di alcune difficoltà che insidiano la stabilizzazione delle persone migranti: la precarietà abitativa, la fragilità delle donne sole con figli o dei minori non accompagnati, ma anche di adolescenti nati e cresciuti sul territorio che si trovano a rischio di emarginazione sociale. Per traghettare le persone dalla fragilità alla stabilizzazione, prosegue Valetti, “sono fondamentali elementi come l’accesso ai servizi, la possibilità di gestire le situazioni di prima accoglienza, la regolarizzazione sotto il profilo amministrativo e l’accompagnamento in un progetto graduale di crescita.
La demografia
Effetto della stabilizzazione è l’aumento, nelle comunità migranti, dell’indice di vecchiaia e dell’indice di dipendenza, che si attestano comunque su valori sensibilmente più bassi rispetto alla controparte italiana del territorio della Città metropolitana. L’indice di vecchiaia, che si ottiene con il rapporto tra over 65 e under 15, è di 236 per cento per la popolazione italiana mentre l’indice di dipendenza, ossia il rapporto tra i non attivi e gli attivi, è di 60,9. Per le persone straniere, invece, i due indici sono pari rispettivamente a 32,9 e 28,8 per cento. Se l’indice di vecchiaia è aumentato, quello di dipendenza è diminuito: “Ci sono più anziani, ma anche più attivi” spiega Sara Belleni Morante.
La comunità provenienti dal Bangladesh e dalla Romania
Quella del Bangladesh è la decima comunità sia nel Comune sia nella Città metropolitana, con un aumento tra 2023 e 2024 del 54 per cento: si tratta di una popolazione per lo più maschile – solo il 12 per cento è donna – molto attiva sotto il profilo delle richieste di ricongiungimento. Si tratta infatti di una comunità giovane, con pochi nuclei familiari intenzionati però a mettere radici nel Torinese. Nelle scuole, infatti, gli alunni di origine bangladese sono pochi ma uno su tre è nato sul territorio. “La scuola è anticipatore del radicamento” commenta Belleni Morante.
Caso quasi opposto è quello della comunità romena, che nell’ultimo anno ha fatto registrare un calo del cinque per cento nel numero di residenti. Le studentesse e gli studenti romeni, nelle scuole del torinese, sono un terzo: quattro su cinque di loro sono nati in Italia. Per quanto riguarda l’istruzione terziaria, argomenta Coccimiglio, la dinamica numerica di studenti stranieri è in crescita, guidata anche dagli studenti internazionali, benché in media l’età media di accesso all’immatricolazione sia più tardiva e la provenienza scolastica sia da istituti tecnici e professionali.