Prosegue la battaglia per le tutele dei lavoratori del settore dell’intrattenimento. Ieri, 22 aprile, una delegazione della RISP, la rete intersindacale dei professionisti di cultura e spettacolo, ha incontrato a Roma i ministri del lavoro, Andrea Orlando, e quello dei beni per le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini. Due le richieste portate sul tavolo dei capi di dicastero: l’istituzione di una commissione parlamentare incaricata di scrivere la proposta di riforma di legge del settore dell’entertainment; l’accreditamento dell’intera contribuzione figurativa per gli anni 2020 e 2021 per tutti lavoratori dello spettacolo. “È stato un primo confronto importante. Ci hanno detto che alcuni punti della proposta sono già stati inclusi nel disegno della prossima legge delega che verrà presentata a inizio maggio, quando saremo riconvocati per un nuovo confronto”, ha spiegato uno dei delegati, “ma dobbiamo continuare a essere vigili attraverso la mobilitazione e a produrre proposte scritte”.
L’incontro con i ministri è stato accompagnato da una serie di presidi convocati dalla rete nelle città di Roma, Napoli, Bologna, Padova e Torino. Il Covid ha colpito duramente il settore dell’entertainment, con perdite complessive vicine ai 13 miliardi di euro. Ma la lotta per i diritti dei lavoratori dello spettacolo non nasce nella fase di emergenza: “al di là delle riaperture, noi siamo una categoria storicamente precaria e poco tutelata. Il problema si è acuito negli anni e il Covid ha semplicemente fatto venire i nodi al pettine”. Sono le parole di Elio Balbo, portavoce della rete Risp, uno dei lavoratori dello spettacolo che ieri hanno preso parte al sit-in in piazza Castello. Tra le ragioni dei manifestanti, la paura di un’ennesima falsa ripartenza. “Dal 26 ripartiremo alle condizioni di lavoro pre-Covid, il che non rappresenta nessun tipo di passo avanti per quanto riguarda la questione dei diritti. Per questo abbiamo chiesto un tavolo interministeriale per discutere di una riforma strutturale”.
Elio da quindici anni lavora come tecnico delle luci e da circa dieci è impegnato nel mondo della musica dal vivo. Ha partecipato a tour di artisti come Subsonica, Ermal Meta, Africa Unite. Fa parte di una categoria che comprende almeno 600mila operatori su tutto il territorio nazionale. La stragrande maggioranza di loro è assunta con un contratto di lavoro a intermittenza o “a chiamata”. Tra i lavoratori dello spettacolo sono pochissimi quelli che decidono di aprire una partita IVA. Lavorare a queste condizioni significa, sempre o quasi, mancanza di continuità di reddito e nessun accesso alla cassa integrazione oal fondo d’integrazione salariale dell’Inps. Mancano inoltre tutele riguardo la maternità delle lavoratrici e ai giorni di malattia. Questioni al centro della riflessione sulla possibile riforma strutturale del settore. A queste, si aggiunge l’annoso problema dei giorni lavorativi non pagati: “Di solito tra un tour e l’altro capita, ad esempio, di star fermi per qualche giorno. Ma in quel lasso di tempo non si va certo in vacanza: si acquista del materiale, lo si prepara, si fanno delle prove. Tutte ore di lavoro extra che in Italia non sono riconosciute”, racconta sempre il portavoce della Risp.
Con gli spettacoli fermi e i lavoratori impiegati a singhiozzo, la pandemia si è abbattuta come uno tsunami su un settore già fragile, fatto di precariato e pochi sostegni. Per Balbo e colleghi, di fatto, le annate 2020 e 2021 rischiano di trasformarsi in due anni non retribuiti di pensione anticipata. “La maggior parte di noi, da marzo 2020 ad oggi, ha ricevuto un’indennità dallo stato pari a 4500 euro complessivi. Come fa una persona normale a vivere con soli 4500 euro per dodici mesi?”.