Il lavoro di quattro anni in una manciata di secondi, in una singola presa, per raggiungere i 15 metri d’altezza. Sono meno di sei quelli utili, per una medaglia, in una Tokio che nel 2020 ospiterà l’arrampicata per la prima volta come sport olimpico. La disciplina, definita arrampicata sportiva, arriva all’appuntamento dopo una storia con pochi trascorsi ufficiali, ma figlia di una passione naturale dell’uomo di raggiungere la cima delle più alte vette. A differenziarlo dalla classica scalata, è servito il divieto di protezioni come il “friend”, un attrezzo meccanico che viene utilizzato come mezzo di assicurazione e progressione durante l’ascensione di una parete di roccia. L’arrampicata doveva essere libera, come i movimenti del corpo lungo il tratto dei 15 metri in cui viene svolta la competizione.
L’Italia più di quanto si pensi, è stata fondamentale nello sviluppo di questo sport, avendo dato una connotazione internazionale alla disciplina. Sulle Alpi torinesi, nel 1985, si è per la prima volta respirata l’aria di una rassegna agonistica, in grado di riunire atleti di diverse nazionalità, per sfidarsi sulle pareti bianche della catena montuosa. Nella località di Valle Stretta, fu organizzata la prima edizione di Sportroccia, una competizione internazionale di arrampicata sportiva, voluta fortemente da Andrea Mellano, alpinista degli anni Sessanta e membro del Club Alpino Accademico Italiano, e dal giornalista e scrittore torinese Emanuele Cassarà. Una rassegna che proseguirà per 5 anni, con la sola assenza nel 1987, e che sarà il fulcro centrale di un movimento in grado negli anni successivi di avere risonanza internazionale. Da lì, la formazione di federazioni internazionali che hanno dato vita al primo Campionato del mondo di Arrampicata del 1991, rassegna replicata a livello europeo l’anno dopo, entrambe con cadenza biennale. La svolta arriva nel 2007 quando nasce l’International Federation of Sport Climbing, un passo fondamentale per arrivare al sogno olimpico. Solo tre anni dopo la federazione viene riconosciuta dal Comitato Olimpico Internazionale, per poi essere inserita in un lotto di altri sette sport esordienti ai giochi olimpici di Tokio 2020. Il 2016 è l’anno dell’ufficialità da parte del Cio, un passo durato 35 anni, un’arrampicata dalle rocce innevate di Bardonecchia alle pareti metalliche ricoperte di fibra asiatiche.
Cambiate le pareti, cambiano le regole. Infatti, per la rassegna olimpica, ci saranno tre prove differenti in gara: dal “Lead” dove l’atleta deve raggiungere il punto più alto della parete su vie che aumentano progressivamente di complessità, alla sfida 1 contro 1 nella prova di “Speed” dove vince chi tocca per prima una placca alla fine della parete, per poi affrontare alla fine la prova più difficile, il “Boulder”. Questa gara consiste in un’arrampicata senza imbragatura su una parete alta 4 metri al massimo, ma con una struttura impervia.
E in Italia? Della grande tradizione alpinista, adesso l’arrampicata è passato nelle mani di un giovanissimo: Ludovico Fossali. Il ragazzo 22enne, nato a Vignola nel modenese, è il detentore del record italiano di speed, con 5,78 secondi. Questa prestazione nell’ultima rassegna mondiale di Hachioji (Giappone) gli ha permesso di essere il primo a qualificarsi alle Olimpiadi di Tokyo. Un successo che ha ricevuto i complimenti del Presidente del Coni Giovanni Malagò e che lo stesso atleta ha commentato sui propri profili social come qualcosa a cui non riesce ancora a credere, per poi scrivere a freddo in un post: «Tutto il lavoro svolto nell’ultimo anno è stato ripagato nel migliore dei modi».