Gli orti urbani sono molto più di un semplice spazio per coltivare pomodori e fagioli. Creano comunità, fanno nascere rapporti e crescere il territorio. A Torino sono sempre di più e soprattutto in periferia, anche perché in centro mancano gli spazi. Senso di comunità e auto-aiuto sono due dei pilastri di cui vive la gestione di un orto autonomo. Lo sanno bene le ideatrici e i membri di OrMe, la rete degli orti urbani torinesi: un progetto che ha messo in comunità sedici gruppi. L’idea nasce nel giugno 2016 per dare visibilità alle realtà esistenti e stimolare la nascite di nuove, per favorire il confronto e condividere saperi ed esperienze e per reperire risorse economiche.
Il panorama torinese è molto vario: ci sono orti dei singoli cittadini, gestiti in comunità, da gruppi informali di genitori e insegnanti, da cooperative agricole. Sono sparsi su tutto il territorio, in Barriera, con Bunker e il Boschetto; in Borgo Vittoria, con le Officine in Terrazza e l’Orto Massari; o in Parella con l’Officina Tonolli e l’orto del centro diurno.
Gli spazi vengono assegnati tramite bando comunale, ma ci sono anche commissioni di valutazione tecnica di cui fa parte anche, per esempio, un rappresentante della Circoscrizione di riferimento. Il Presidente è membro della commissione di controllo una volta assegnato il terreno. Il regolamento è molto tecnico, ma tra i primi punti è sottolineata la finalità sociale e di valorizzazione del territorio che è il cuore del progetto degli orti urbani.
L’ORTO SUL TETTO
Le Fonderie Ozanam, in via Foligno, esternamente sono un capannone grigio. Nascondono però una sorpresa: un orto sul tetto, conosciuto col nome tecnico di Orto Alto. E non è tutto: a prendersene cura è una cooperativa di catering, una onlus che gestisce il primo piano delle Fonderie e che immette nel mondo del lavoro giovani migranti. Lo spiega Loris Passarella, coordinatore dell’orto: «La cuoca è nigeriana, l’aiuto cuoco è del Bangladesh, Aziz si occupa delle tre arnie. C’è anche Andrea, per esempio, un ragazzo down che fa il cameriere». Ci sono anche i ragazzi pakistani del cricket club. Tra onlus e sportivi sono un buon numero, e a turno si prendono cura dell’orto. Con loro lavorano anche gli anziani del quartiere, volontari. «Collaborano benissimo, c’è intesa tra chi faceva il contadino da giovane e chi lo faceva in patria. E poi si sa» sorride Passarella «la collaborazione è il primo passo verso l’integrazione».
Inaugurato a maggio 2016, è da subito cresciuto intorno ai concetti di agricoltura urbana sostenibile, risparmio energetico e funzione sociale. Nessuno di loro è nato contadino: «Stiamo imparando. Faccio un esempio: agli inizi coltivavamo dieci tipi di pomodori che però crescevano. Abbiamo quindi imparato a concentrarci solo sui ciliegini e i cuore di bue» spiega ancora Passarella. E c’è ancora molto da fare: continuare la pavimentazione, costruire una casetta in legno e una serra per l’inverno, sistemare il pergolato. E per farlo si stanno auto finanziando, per esempio attraverso gli orto hour, aperitivi sul tetto. O con la vendita del miele: «L’anno scorso ne abbiamo prodotti 120 chili» dice soddisfatto Passarella.
L’orto sul tetto porta colore a questo angolo un po’ grigio di Torino. «È una cosa innovativa, particolare» racconta Passarella «La gente passa a chiedere cos’è, e magari si ferma anche a parlare». Ma nonostante questo, non ha suscitato l’entusiasmo che ci si aspettava: «È sempre così quando si fanno iniziative di questo tipo: si crea sempre un’eco nazionale e internazionale che è più grande di quella locale». Ma i ragazzi delle Fonderie non mollano: «Vedrete, abbiamo grandi idee per quando verrà la bella stagione».
CAROTE E ZUCCHINE, IL BUNKER VIVE ANCHE DI GIORNO
Alice Belcredi gestisce l’orto del Bunker, nato nel 2013 dai terreni ex Enel in via Niccolò Paganini, ed è orgogliosa di quello che fa. «È un progetto entusiasmante, l’abbiamo fatto nostro. L’orto è decisamente un pezzo di noi». Sviluppato su 1500 m², l’idea iniziale era stata quella di dividerlo in 47 settori. Per un po’ ha funzionato, ma poi si sono accorti che «tante persone non avevano abbastanza tempo da dedicare e i lotti rimanevano abbandonati e incolti», racconta Belcredi. Si è deciso quindi di lasciare a chi può il proprio orto personale, e unificare gli altri per creare un giardino in condivisione. «Uno degli obiettivi che perseguiamo con più forza è far capire alla gente che il Bunker vive anche di giorno, che noi ci siamo».
Il rapporto che l’orto del Bunker ha con Barriera di Milano, il suo quartiere, è profondo: «Siamo ben inseriti, tutta la gente che lavora è della zona» spiega Belcredi, che è molto affezionata ai suoi vecchietti. «Sono qui tutti i giorni, hanno fatto amicizia, mi innaffiano le piante quando vado in vacanza» sorride. Sono una ventina, e tra loro hanno creato rete e una condivisione di saperi. «Ci sono anche i giovani, anche se di meno. Per esempio qui lavorano due ingegneri che si sono creati un sistema di irrigazione automatico. Comunque abbiamo la grande fortuna di operare in una realtà molto viva».
NON COLTIVIAMO SOLO ORTAGGI
In primavera, un angolo di piazza Manno a Madonna di Campagna diventa un circo di voci e colori. Ci sono bambini, universitari, anziani e c’è anche un gruppo di persone inserite nel progetto dell’orto urbano dalla Neuropsichiatria e dai servizi sociali della Circoscrizione 5. L’Orto Mannaro, gestito dalla cooperativa Mondoerre, vive di tre principi: «Educazione ambientale, funzione sociale per persone in difficoltà, e autogestione – spiega Vittorio Bianco, che gestisce l’orto – tutti ci conoscono, ogni tanto passa a dare una mano o a regalarci qualcosa. Purtroppo però tre settimane fa abbiamo subito un furto. Noi siamo qui per rendere migliore il quartiere e questo è il ringraziamento?».