La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

La sociologa Chiara Saraceno: “Congiunti sì, amici no. Perché?”

condividi

Alla fine possiamo incontrare un cugino che nemmeno avremmo invitato alle nozze ma non possiamo vedere l’amico del cuore. Il governo ha chiarito ma la sensazione è che la toppa sia peggio del buco. Per “congiunti” si intendono “parenti e affini, coniuge, conviventi, fidanzati stabili, affetti stabili”. E perché non un’amica o un amico del cuore? Si interroga la professoressa Chiara Saraceno, sociologa della famiglia all’Università di Torino. Bisognerà aspettare.

“Congiunto” è stata tra le parole più cercate in rete facendo schizzare il Treccani al top delle soluzioni suggerite da Google. “È una parola antica. La discussione è tanto buffa”, osserva Saraceno.

 

[aesop_quote type=”block” background=”#282828″ text=”#ffffff” align=”left” size=”1″ quote=”Perché lo Stato mi deve dire quali sono i rapporti importanti per me?” parallax=”off” direction=”left” revealfx=”off”]

 

Professoressa, che cosa ne pensa di questa discussione?

“Penso che non sia possibile delimitare per legge il range delle relazioni affettive rilevanti. O dici che non puoi andare a visitare nessuno oppure dici che ciascuno può andare a visitare chi vuole, purché non si creino assembramenti. La parola ‘congiunto’ l’ho trovata antica. Perché per qualcuno può essere più importante andare a trovare un amico o un’amica, che non un parente. Quindi il problema non riguarda solo le coppie, di qualsiasi genere, non unite civilmente o non sposate”.

 

Come andava affrontato il problema?

“Intanto trovo che la discussione sia stata affrontata in maniera maldestra. Si poteva dire semplicemente che sarebbe stato possibile far visita alle persone che si ritengono importanti, confidando nella responsabilità individuale. Senza fare cenoni e con la mascherina. Tenendoci a distanza. Più di così era inutile dirlo”.

 

Poi c’è stata una circolare di chiarimento…

“Ancora più buffa. Perché, ripeto, ci sono i rapporti affettivi rilevanti. Perché gli amici no? Perché lo Stato mi deve dire quali sono i rapporti importanti per me?”.

 

[aesop_quote type=”block” background=”#282828″ text=”#ffffff” align=”left” size=”1″ quote=”Questa decisione sui “congiunti” incoraggia un breakdown” parallax=”off” direction=”left” revealfx=”off”]

A proposito di responsabilità individuale, abbiamo visto le foto dalla Germania di gente in riva al fiume ben distanziata…

“Ma anche no. Io ho una figlia che abita in Germania, vede il parco di fronte a casa sua e non è che ci sono tutti questi distanziamenti. Credo che in Italia siamo stati complessivamente molto ubbidienti.  Ma penso a quartieri e case sovraffollate. Sapete, non è facile stare in quattro in 40 metri quadri. Io non mi lamenterei. Mi lamento piuttosto degli spioni che a un certo punto, presi dalla libido di fare i controllori, chiamavano la Polizia. Certo, c’è chi è uscito col cane trentasette volte al giorno. Io non credo che abbiamo fatto più trasgressioni che in Germania. La verità è che questo dettaglio assurdo dei ‘congiunti’ incoraggia un breakdown, incoraggia a fare quel che ci pare. Credo invece che bisognerebbe insistere molto di più sulle responsabilizzazioni individuali. Non c’è solo lo stato di polizia. Abbiamo visto come alcune multe siano state assurde. Poi c’è stato il corteo al funerale del boss. Come la mettiamo?”.

 

Dal punto di vista sociologico quali conseguenze ha avuto il lockdown?

“Abbiamo usato impropriamente il termine ‘distanziamento sociale’ e vorrei che smettessimo di utilizzarlo. In realtà il distanziamento è stato fisico. Poi, chi ha potuto e aveva gli strumenti tecnologici in questo periodo ha avuto tantissimi rapporti via Skype, via chat. Ci si è visti virtualmente molto più di quanto non facessimo prima. Quindi è sbagliato aver parlato di distanziamento sociale. Anche i giornalisti continuano a parlare di distanziamento sociale senza interrogarsi sulla radicale improprietà del termine”.

 

[aesop_quote type=”block” background=”#282828″ text=”#ffffff” align=”left” size=”1″ quote=”C’è stato il bisogno di una socialità diversa. Ma è esploso il digital divide” parallax=”off” direction=”left” revealfx=”off”]

Come mai c’è stata questa spinta alle relazioni virtuali?

“L’esperienza di essere chiusi in casa ha spinto ad allargare i confini almeno virtuali. Ma pensiamo anche alla gente che cantava sui balconi; c’è stato un bisogno di inventarsi una socialità altra, diversa, visto che quella cui eravamo abituati non c’è stata più. C’è stato anche un eccesso, una moltiplicazione delle riunioni online, dei seminari online, dell’offerta culturale virtuale. Abbiamo scoperto che non occorre sempre spostarsi da casa. C’è stato il bisogno di coprire un vuoto. Però attenzione, il digital divide è esploso. È stato tragico, soprattutto nella didattica a distanza delle scuole. La Rai per esempio è arrivata tardi e non ha pensato di coprire gli effetti di questo divario. La televisione copre ancora delle fasce importanti della popolazione. Quando guardo la tv mi sembra di essere in agosto, con film vecchissimi…”.

 

Questa socialità diversa che abbiamo cercato la vedremo ancora nel futuro o si tornerà alla normalità?

“Alcuni aspetti rimarranno. Il lavoro a distanza, che prima vedeva tantissime resistenze da parte delle aziende, dovrà essere regolato. Si è scoperto che certe cose si possono fare senza muoversi. Bisognerà cambiare le organizzazioni del lavoro. In parte anche a scuola, alcune cose si potranno fare a distanza. Certe riunioni, seminari, convegni. Magari funzionano anche meglio. D’altro canto si è cominciato a rivalorizzare la dimensione del faccia a faccia. La paura di diventare degli hikikomori (parola giapponese per indicare chi sceglie di stare isolato ndr) ci fa capire che uscire e vedersi faccia a faccia ha sempre i suoi pregi”.

NICOLA TEOFILO