Ezio Bosso, compositore e direttore d’orchestra, è morto oggi, 15 maggio, a 48 anni. Da tempo soffriva di una malattia neurodegenerativa. Riproponiamo qui l’intervista che aveva reso a FuturaNews in occasione del successo del suo programma tv “Che storia è la musica”.
È l’estate di Ezio Bosso. Tra “Che storia è la musica” il programma andato in onda su Rai3 il 9 giugno, un sold-out ad Altamura e il suo concerto al Flowers Festival il 9 luglio a Collegno, il direttore, insieme all’Europe Philharmonic Orchestra, ha macinato successi, soprattutto per il modo unico con cui riesce a trasmettere al pubblico la sua passione viscerale per la musica classica. La serie di appuntamenti andrà avanti fino a settembre, con molti concerti tra cui Benevento e Matera, e porterà sinfonie e altri brani in tutta Italia, per far conoscere al pubblico Beethoven, Tchaikovsky e molti altri grandi compositori.
L’estate è il momento in cui regnano i tormentoni. Crede che sia una buona stagione per divulgare la musica classica, soprattutto all’interno di eventi, come il Flowers Festival, ricchi di generi così diversi?
“Non credo ci sia una stagione più adatta alla musica classica. È adatta a tutte le stagioni. Tant’è vero che esiste un brano di Tchaikovsky che si chiama Le Stagioni, per non parlare di Vivaldi. È bella l’idea di andare a festival di suoni differenti. La classica va portata in giro e oggi la tecnologia ci permette di amplificare le note e fare un servizio di alta fedeltà acustica per farla sentire a pubblici diversi. Io combatto contro l’idea di una musica elitaria, per me deve essere di tutti. Deve essere patrimonio diffuso e bene comune. Invece qualcuno pensa ancora che debba essere proprietà di qualche pseudo intellettuale. L’esatto motivo per cui ho deciso di fare la trasmissione è per darne l’accesso.
Il 28 giugno ad Altamura in mezz’ora la piazza era piena con migliaia di persone e molte seguivano da un maxischermo il concerto che facevamo in chiesa con Tchaikovsky ed alla fine è esploso un boato che sembrava un gol. Quell’effetto lo fa Tchaikovsky, non Bosso”.
Lei dice sempre che la musica è vita. Perché?
“È difficile dirlo, ma è così: vita in ogni sua accezione. Dipende dalla ricerca che gli uomini hanno fatto per farla esistere. L’uomo ha inventato la musica per trascrivere la vita stessa e la natura e per avere qualcosa a cui aggrapparsi, per sollevarsi. È famosa la frase di Nietzsche: ‘La vita senza la musica sarebbe un errore’, io personalmente aggiungo che la musica senza vita non sarebbe tale”.
Nel suo discorso al parlamento europeo aveva detto che nulla più della musica unisce i popoli. In che modo?
“Perché di fatto è lei che nella storia ci ha uniti. Esiste in Beethoven, in Vivaldi e in Bach, che lo amava e lo trascriveva, un’identità europea, ma è anche nel linguaggio musicale, nato in Italia e poi unito a quello tedesco e inglese. Il musicista parla tante lingue e frequenta persone in tutta Europa, impara e trasmette ad altri artisti senza pregiudizio. Quando dico che la musica aiuta ad ascoltare, voglio dire anche questo, che nel momento in cui ci ascoltiamo le barriere diventano inutili”.
Che emozioni provoca la musica classica?
“Ha un vantaggio sostanziale: ognuno quando suona o ascolta vive la propria storia e lo può fare anche insieme agli altri, così le singolarità diventano una sola”.
Perché è importante continuare a divulgare e suonare i compositori del passato?
“La domanda da porre è perché continuiamo a farlo dopo centinaia di anni. La mia risposta, che è stata la mia epifania, è che non suoniamo la classica perché è storica, ma perché ne abbiamo bisogno, perché è sempre nuova. Pur essendo sempre le stesse note, queste cambiano in funzione dello spazio, del giorno, di quello che diventiamo. Da giovani le suoniamo in un modo, da vecchi in un altro. Lo stesso succede con l’ascolto. Ogni volta che ascolti quei brani scopri qualcosa in più. Che poi è il segreto dell’animo umano. Ecco perché la musica classica è la più necessaria che esista, più di un tormentone che si esaurisce nel giro di un’estate”.
Quindi abbiamo più bisogno di musica e arte?
“Abbiamo sempre più bisogno di eccellenza e del genere di virtuosismo di colui che rischia per condividere ciò che ama con gli altri. Credo che questo sia ciò che le persone hanno voglia di vedere. La musica classica è la più meritocratica che esista, non puoi farla in playback. Ti mette a nudo e in una condizione di rischio. Si suona anche quando si ha male. Tanto. Eppure in quel momento si dà tutto e il male o la vecchiaia scompaiono. Conosco direttori di novant’anni che quasi non si muovevano più, come Herbert von Karajan, che però quando aveva la bacchetta in mano tornava un trentenne“.
Lei ha scritto anche colonne sonore. Pensa che ci sia una sorta di continuità tra queste e la musica classica?
“Ne ho scritte poche, però è evidente che ci sia continuità. La musica classica, che possiamo anche chiamare libera, è quella da cui ha origine tutta la musica europea e non solo. John Williams si ispira a Wagner, a Mahler. Poi adesso è cambiato e di colonne sonore ce ne sono di tanti tipi, techno, pop. La musica è una parte dell’identità dei film, come succede a noi. Ci facciamo un’identità sulla base di quello che ascoltiamo”.
Il programma ha avuto un grande successo di pubblico, perché è riuscito a commuovere e spiegare la musica classica a tutti. Continuerà con altre puntate?
“Io me lo auguro, però non si può dare nulla per scontato. Il 9 giugno è successa una piccola rivoluzione di cui anche io non mi rendo del tutto conto. Abbiamo dimostrato che siamo un paese migliore. Un milione e mezzo di persone hanno ascoltato due sinfonie di Beethoven, che nessuno aveva mai suonato in prima serata. Quindi a volte dovremmo essere orgogliosi di essere italiani. Forse ora ci si è resi conto che si può fare. Anche noi credevamo che fosse una follia e dicevamo ‘Tanto la musica classica non funziona’. E invece quello che non funziona è sostenere di sapere cosa per gli altri funziona o no”.
Con la sua orchestra continuerà con altre sinfonie di Beethoven o ha in mente altri compositori da far conoscere?
“Fosse per me parlerei di ogni compositore della storia. Per contraltare la prossima volta mi piacerebbe eseguire Tchaikovsky. Lui infatti detestava Beethoven, dichiarava che non riusciva ad ascoltarlo, ma in realtà era il nuovo Beethoven, un grande rivoluzionario”.
Il suo programma però ha ricevuto anche critiche dai suoi colleghi musicisti. Secondo lei invece perché è giusto divulgarla così?
“Quelle non erano critiche, erano insulti, e quando è così, quelli non sono miei colleghi, ma sono nani da giardino invidiosi di cui non tengo neanche conto. Li chiamo così perché i nani sono grandi persone, invece il nano da giardino ha il solo scopo di imbruttire. Io mi occupo di fare eccellentemente il mio lavoro e non ho mai osato denigrare quello degli altri. Ho visto anche insulti sul mio corpo: queste non possono essere in nessun modo critiche. Anche manipolare i dati e dire che un milione e mezzo di persone sono poche vuol dire essere in malafede. Invece i critici sono importanti per crescere.
Il problema è proprio Facebook che scatena bruttissime verbalità e linguaggi aggressivi ed assoluti. Credo che anche questo sia un sintomo della paura di chi vuole che la musica resti cosa sua. Ho letto di uno che non vuol fare entrare in sala più di cinque persone. Povero lui, non so cosa farci, io lotto come i miei padri affinché la musica sia meno elitaria. Questo però è un segnale del fatto che tutti negli anni abbiamo sbagliato qualcosa”.
Prima parlavamo dell’estate e di quello che si sente in questa stagione. Esistono tormentoni nella musica classica?
“Certo, nella storia ci sono stati ed erano uno dei terrori di Beethoven, che quando vedeva una cosa diventare quasi luogo comune la eliminava dalla sua vita, pur amandola, come Per Elisa. C’è però la differenza che questi “tormentoni secolari” non vengono scritti dal musicista con quell’intento, come si fa ora. A me fanno venire i brividi, ma non di gioia. Il vero compositore non ha questo obiettivo, scrive per amore, per gli altri. Non ho mai conosciuto in tutta la storia uno di questi grandi uomini che abbia pensato di fare le cose a tavolino”.
Cosa vuol dire per lei comporre e dirigere?
“Dirigere mi completa, vuol dire prendermi cura di tutti ed essere me stesso, avere tutta la responsabilità e il senso di gratitudine che ho anche quando vivo tutti i giorni. È fare il mio mestiere, ho studiato e composto tanta musica per fare il direttore d’orchestra. Quando ce n’è bisogno mi metto al pianoforte, per essere al servizio degli altri, ma il mio mestiere è il direttore”.
Qual è il suo compositore preferito?
“È una domanda che mi fanno spesso a cui io rispondo sempre: ‘Vuoi più bene alla mamma o al papa?’. Non lo so, io so che mio papà è Beethoven”.
Di seguito l’ultima partecipazione a Propaganda Live