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La montagna degli inverni caldi

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Il cambiamento climatico non solo rischia di avere pesanti conseguenze ambientali, ma potrebbe mettere in discussione l’intero tessuto economico della montagna. “Le Alpi assomiglieranno sempre di più alle catene montuose del nord Africa e il Mediterraneo sarà una delle zone al mondo che sarà più colpita dal riscaldamento globale”, dice Luca Mercalli nel corso della presentazione del nuovo report di Legambiente Neve diversa 2023

L’inverno breve mette in crisi i modelli del passato

Da troppe stagioni il pallone rosso dell’anticiclone delle Azzorre insiste sull’Europa occidentale. E ha cambiato le stagioni nel Vecchio Continente. È uno dei segni della malattia che alcuni studiosi avevano già previsto negli anni Sessanta, ma che ha manifestato i suoi effetti dagli anni Ottanta. Dopo i nevosi inverni del 1986 e del 1987, le stagioni fredde con precipitazioni abbondanti e basse temperature costanti sono stati sempre meno.

“Consapevoli di questa svolta, dobbiamo assumere una rilettura critica delle eredità del Novecento”, commenta Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi Legambiente. Modelli del passato non più replicabili, perché la montagna è sempre più calda e la stagione invernale si è accorciata di un mese rispetto a cinquant’anni fa.

I dati elaborati nel 2020 da Obc Transeuropa per European Data Journalism Network mostrano che, su 224 comuni montani situati nei comprensori sciistici o nelle loro immediate prossimità, sono ben 22 i comuni che dal 1961 al 2018 hanno subito un aumento di 3 o più gradi. Il primato spetta ad Aprica e Teglio, entrambi in provincia di Sondrio, con 3,9 gradi in più. 

“Neanche l’innevamento artificiale è più in grado di sostenere la domanda degli sport invernali – continua Bonardo, esponendo i costi di tale pratica – Produrre la dama bianca è sempre più dispendioso: dai 3 ai 7 euro per metro cubo, rispetto ad una media passata di 2.” Dati che impongono un ripensamento sui modelli di sviluppo da adottare in futuro: “La neve artificiale non è una soluzione, non è una pratica di adattamento.” 

Senza adattamento non può esserci sopravvivenza. In Italia sono 249 gli impianti dismessi, 84 “un po’ chiusi  e un po’ aperti” e 181 i casi di “accanimento terapeutico”, che sopravvivono grazie all’iniezione di denaro pubblico. E gli edifici che ospitavano queste tracce del passato rimangono, conferendo un segno ulteriore di una montagna che soffre: sono 78. 

La ricerca di nuovi equilibri tra angosce e passioni

Se il “fordismo alpino” non è più la soluzione per creare modelli di sviluppo per gli anni a venire, alcune realtà stanno cercando una via per offrire una nuova geografia di paesaggio e compensare quel cratere creato dall’arretramento delle nevi. Ne è un esempio l’iniziativa “BeyondSnow”, un progetto InterregAlpine Space, coinvolgente sei paesi europei e 13 partners, che mira a far restare le persone a vivere in montagna, soprattutto nelle zone a media e bassa quota. “L’obiettivo è gestire una transizione socio-economica ed ecologica – spiega Andrea Omizzolo, uno dei coordinatori del piano. Dobbiamo promuovere l’adattamento al cambiamento climatico. Il progetto punta a migliorare la resilienza, perché oltre agli impatti ecologici ci sono anche quelli economici. Non c’è solo lo sci, molte attività possono essere fatte senza neve.”

Non solo resilienza, ma anche la liquidità è necessaria ad affrontare questa transizione. Una liquidità fisica, in quanto sarà la pioggia probabilmente la protagonista sotto ai duemila metri, e esistenziale. Nel libro Inverno liquido, Maurizio Dematteis sottolinea l’importanza di trovare un’alternativa all’offerta monocoltura dello sci di discesa, “che ha oscurato il genius loci dei territori”, senza però infrastrutturare la montagna. 

“Dobbiamo porci delle domande cercando di non guardare dall’altra parte – prosegue Marco Bussone, presidente di Uncem -. Del passato sappiamo tanto e del futuro pochissimo. Dobbiamo fare un sinodo per capire cosa sono i territori e le comunità montane oggi.”

La replica delle realtà sciistiche: “Abbiamo a cuore il territorio” 

Non si è fatta attendere la risposta di chi, per gli sport invernali vive. Per Valeria Ghezzi, presidente di Anef, non vi è una ricetta unica per affrontare i problemi della montagna: “Nessuno vuole discutere del cambiamento climatico. Il tema è l’evoluzione. L’innevamento tecnico è un pratica che serve per fornire una qualità di prodotto che è richiesta, più in Italia che all’estero.” Anche la presenza degli impianti di risalita viene vista come necessaria, non solo per ridurre il traffico dei veicoli, ma anche per far sì che lo sci non diventi uno sport elitario. “Fare bene i conti economici fa anche bene all’ambiente – aggiunge Ghezzi – E diversificare e destagionalizzare sono obiettivi importanti anche per noi.”

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