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La memoria di Mauthausen

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Sono passati 78 anni dalla liberazione del campo di concentramento di Mauthausen, raggiunto degli uomini 3ª Armata americana il 5 maggio 1945. A Torino, come in molte città d’Italia, questo evento è molto sentito, poiché molti arrivarono lì e non vi fecero più ritorno. Nella mattinata di venerdì 5 maggio, al Cimitero monumentale, è stata celebrata la Giornata dei deportati. In presenza dell’Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti, dell’Associazione nazionale degli internati militari e delle figure istituzionali della Città di Torino un sacerdote ha portato la benedizione alle tombe del Campo della gloria.

Successivamente la manifestazione si è spostata presso la lapide con i nomi dei 426 Ebrei torinesi morti nei campi nazisti, all’ingresso del Campo israelitico in viale Consolata.

Mauthausen, un campo di punizione e di annientamento attraverso il lavoro

Il campo di Mauthausen non è nato con il nazismo. Una fortezza-prigione era già stata allestita durante la prima guerra mondiale dagli austroungarici e lì trovarono la morte circa 9 mila prigionieri di guerra, falciati dalle terribili condizioni di vita e dai maltrattamenti dei carcerieri. Gli italiani erano tra quelli più colpiti dalla mortalità, anche per il disinteresse dimostrato dal Governo di allora nei confronti dei connazionali catturati.

Ma fu con l’Anschluss del 1938, l’annessione tedesca dell’Austria, che questo luogo, poco distante da Linz, conobbe una fase ancora peggiore. Aperto l’8 agosto del 1938, fu inizialmente comandato da Albert Sauer, subito rimpiazzato l’anno successivo da Franz Ziereis. Ziereis fu uno dei pochi ufficiali nazisti a comandate un campo di lavoro dalle sue origini, fino al crollo finale del Reich. Forte della sua amicizia personale con il comandante delle SS Heinrich Himmler e il suo vice Ernst Kaltenbrunner, Ziereis ebbe un ruolo di primo piano nelle atrocità commesse a Mauthausen. Nell’aprile del 1941 il campo fu visitato dai massimi vertici delle SS e del Partito nazista. Le foto scattate in questa occasione fornirono una prova schiacciante nei processi del dopoguerra contro i gerarchi del regime. In questa occasione Ziereis fu promosso SS-Standartenführer (colonnello) per “meriti speciali”.
Il regime di terrore promosso dal comandante fece sì che Mauthausen fosse il solo campo di concentramento classificato di “classe 3”, come campo di punizione e di annientamento attraverso il lavoro.

Tra i tanti strumenti di supplizio il peggiore forse era la “Scala della morte”, che collegava il lager alla vicina cava di granito viennese, in cui venivano costretti a lavorare gli internati. Gli sventurati venivano caricati di pesanti massi e, raggiunta la cima, gettati nel vuoto se non ritenuti sufficientemente prestanti dalle SS.

A differenza dei campi di sterminio situati in Europa orientale, la maggior parte dei detenuti non era ebrea. Gli Ebrei furono deportati in massa alla fine del conflitto, tramite le famigerate “marce della morte”.

Poco prima della liberazione, Franz Zieries abbandonò il campo e si rifugiò con la moglie e i figli sulle montagne dell’alta Austria. Fu individuato dai soldati americani e ferito a morte durante un tentativo di fuga. Morì il 24 maggio 1945 e il suo corpo fu appeso dai prigionieri sulle recinzioni di Gusen.

Il cattivo e il buon tedesco

Tra le circa 122 mila vittime di Mauthausen, 5750 erano italiane. Alcuni erano internati militari, altri oppositori, altri ebrei. Un gran numero di persone fu deportata in seguito alle operazione antipartigiane messe in atto dalle truppe naziste. Il 2 gennaio 1944, in seguito all’uccisione da parte dei patrioti del fascista Oreste Millone e della compagna Anna Abenga a Dronero, una colonna tedesca entrò in paese fucilando dieci persone e deportandone cinque a Mauthausen: il tipografo Giovanni Lantermino, l’avvocato Pietro Allemandi, Cristoforo Coalova, l’industriale Magno Marchiò e Giuseppe Lugliengo. Nessuno fece ritorno.

Tantissimi Torinesi seguirono il loro destino: tra questi Filippo Acciarini, Gelindo Augusti, Donato Giorgio Levi, Alfonso Ogliaro, Lucio Pernaci, Alberto Segre, Salvatore Segre, Renato Treves, Luigi Nada, Luciano Treves, Giuseppe Benetton, Vittorio Casnati, Michele Tabor, Ferdinando Bagatin, Rinaldo Corio, Luigi Rosso, Felice Scaringella, Carlo Stratta, Giovanni Roncaglio, Giovanni Bini, Enrico Mellano, Luigi Scala, Vittorio Staccione, Tranquillo Sartore, Francesco Staccione, Nicola Battista e Valentino Merlo.

Un universo in cui, però, non era tutto bianco o nero. Tra i tedeschi c’erano anche alcuni buoni. Tra questi alcuni prigionieri hanno ricordato un tale Wiler, che permetteva ai prigionieri di rubare il cibo per sostentarsi.

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