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La marea di petrolio che minaccia Mauritius, “Santo Graal delle specie marine”

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“The sea is in our Dna”. Il mare è nel nostro Dna. La voce dell’attivista Stefan Gua è rotta. Si percepisce l’emozione e anche un velo di tristezza nelle parole di chi vive in simbiosi con l’oceano e, all’improvviso, ne vede svanire la purezza in una grande macchia nera. Una minaccia innaturale ed estranea.

L’ingresso di un tempio tamil

L’aria che si respira sull’isola di Mauritius è salata, ma leggera. Gli abitanti del luogo vivono sereni, dediti ai valori della comunione, dell’altruismo e del rispetto reciproco. Anche la bandiera lo dimostra. Rosso, blu, giallo e verde: quattro strisce di colori differenti, simbolo delle diverse religioni ed etnie presenti nell’isola (rispettivamente indù, cristiani, tamil e musulmani), ma tutti legati tra loro. Non è un caso, infatti, che le moschee, i templi tamil e indù e le chiese sorgano a pochi metri di distanza gli uni dagli altri.

Alla convivenza pacifica tra gli uomini fa sfondo un’estrema connessione con il mondo che abitano. Mauritius è un piccolo paradiso, un puntino nell’Oceano Indiano a pochi passi dal Madagascar. Un luogo quasi idilliaco, dove l’odore di spezie e salmastro si fonde con il profumo di sabbia e fiori di plumeria lungo la costa. La natura è protagonista selvaggia e amica. Gli animali si muovono liberi, attraversano le strade e i mercati dei villaggi, dialogando con l’uomo e le sue attività.

Il fondale marino dell’isola di Mauritius, nella zona di Belle Mare (costa orientale)

L’equilibrio dell’ecosistema umano e ambientale dell’isola ha visto la sua sopravvivenza messa gravemente a rischio nell’estate 2020. Il 25 luglio la nave Mv Wakashio, di proprietà di una società giapponese, si è incagliata sulla barriera corallina al largo di Pointe d’Esny nella città di Mahebourg, nella costa sud-est. Una delle lagune più belle di Mauritius, poco distante dal parco marino di Blue Bay. Il cargo di 259 metri e 101 tonnellate, partito da Singapore e diretto in Brasile, trasportava 4mila tonnellate di carburante, di cui 200 di gasolio e 3.800 di un nuovo tipo di petrolio chiamato Vlsfo (Very Low Sulphur Fuel Oil).

La nave Mv Wakashio al largo della costa di Pointe d’Esny (Mauritius)

“I giorni passavano, la nave era piantata sui nostri coralli e il governo non faceva nulla” racconta Stefan Gua, membro dell’organizzazione ecologica e politica Rezistans Ek Alternativ.

È il 6 agosto quando una grande quantità di carburante, circa mille tonnellate, inizia a fuoriuscire da uno squarcio della nave e a riversarsi nelle acque cristalline dell’isola. Gli sforzi per stabilizzare il cargo e aspirare il petrolio, al fine di contenerne la diffusione, vengono vanificati dalle condizioni proibitive del mare. L’impatto su flora e fauna marine è devastante. Si tratta del più grande disastro ambientale nella storia di Mauritius.

Di fronte alla “totale inerzia e negligenza del governo”, secondo le parole di Stefan, gli abitanti del luogo non sono rimasti a guardare e si sono subito mobilitati per salvare l’oceano, con il grande spirito di collaborazione che li contraddistingue. Centinaia di volontari hanno costruito lunghe barriere protettive, chiamate booms. Si tratta di grandi “cuscini” fatti con reti di nylon e fusti vuoti, imbottiti con materiali assorbenti naturali, come paglia, foglie di canna da zucchero e anche capelli, donati soprattutto dalle donne locali.

“I booms hanno funzionato, siamo riusciti ad assorbire il petrolio e a bloccare l’espansione della marea nera. Questo evento ci ha uniti tutti per un obiettivo comune: ripulire e salvare ciò che era stato danneggiato”, afferma Abhi Guddaye, tesoriere e direttore di marketing dell’associazione New Reef, che opera per il ripristino e la conservazione della biodiversità marina.  Ancora una volta, i mauriziani erano insieme, l’uno a fianco all’altro per difendere la natura.

“L’idea di costruire barriere protettive venne a David Sauvage, membro di Rezistans Ek Alternativ, ingegnere ed ecologista, proprio il 6 agosto”, spiega Stefan. “Il primo gruppo di volontari contava circa 150 persone – continua – poi, nel giro di pochissimi giorni, si sono uniti a noi tanti altri abitanti dell’isola, provenienti da altre regioni. Alla fine, eravamo 15mila volontari in totale, anche grazie all’aiuto di diverse organizzazioni locali”. La parola d’ordine era collaborazione. Fabbriche del luogo hanno fornito il proprio aiuto, offrendo le materie prime. Pescatori e marinai di Pointe d’Esny hanno contribuito, mettendo a disposizione le proprie barche per collocare i booms nella laguna.

La catastrofe ambientale ha sconvolto l’intera cittadinanza. “C’era tanta tristezza e angoscia tra la gente – racconta Stefan -. Molti sono scoppiati in lacrime, perché il mare è una delle cose più importanti per noi, non solo per il turismo ma anche per la vita”. Il petrolio ha causato la morte di molti animali: decine di pesci e uccelli avvelenati dall’acqua inquinata e una ventina di delfini ritrovati esanimi sulla riva. “Eravamo anche molto arrabbiati con il governo – continua – che non ha avuto una risposta immediata e corretta nei confronti della crisi”.

“Il nostro Paese non ha le competenze e le capacità di disincagliare le navi arenate”, aveva dichiarato il ministro dell’Ambiente, Kavydass Ramano, prima della proclamazione dello stato di emergenza ambientale il 9 agosto. Le scelte del governo sono state giudicate inadeguate e insufficienti alla salvaguardia ambientale da parte della popolazione mauriziana, che alla fine di agosto è scesa in piazza a Port Louis (la capitale) per protestare nella più grande manifestazione della storia dell’isola.

La manifestazione dei mauriziani a Port Louis contro il governo

L’attività dei mauriziani per proteggere e salvare flora e fauna non si è mai fermata. “Le autorità insieme alle Ong stanno lavorando duramente per conservare la barriera corallina, prima minacciata dal cambiamento climatico e ora definitivamente danneggiata dal petrolio”, afferma Abhi. L’appello di New Reef e dell’intera comunità di Mauritius si rivolge a tutti. “Noi cerchiamo nuovi modi e tecniche per dare ai nostri coralli morenti una seconda possibilità – dice –. Ma per farlo abbiamo bisogno di tutto l’aiuto e il sostegno della comunità locale. E anche internazionale”.

Dopo mesi, nel blu dell’Oceano Indiano resta ancora una parte del relitto, imponente e immobile. Estraneo all’ecosistema. Mauritius, però, continua a essere, secondo Abhi, “il Santo Graal per la ricchezza e la varietà di specie marine”. Nonostante tutto.

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