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La lezione di Kureishi: “L’autore gode solo quando gode il lettore”

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Umberto Eco distingueva tra intentio auctoris, lectoris e operis. Tre aspetti di un’opera, tre tentativi di ricostruire il senso di un testo. Il significato della scrittura, per Hanif Kureishi, autore britannico di origine pakistana, è forse più pragmatica, e ne ricostruisce il profilo alla presentazione dell’ultima opera, Uno Zero, organizzata al Salone di Torino. “Un libro non è finito finché qualcuno non lo legge. E possibilmente lo apprezza. Scrivere significa fare qualcosa per gli altri, non è un sollievo per la psiche dell’autore. Assomiglia al cucinare, si prova piacere soltanto nel vedere il godimento altrui”.


Scrivere è vita, per Kureishi. E a intrecciarsi nel suo libro, la storia di Waldo, un anziano regista, e delle sue pulsioni sessuali, sono proprio vita e morte. La vicenda di un uomo che sta scomparendo, che si sente una nullità perché tradito dalla moglie, molto più giovane di lui. Una lenta morte, dunque, a cui cerca di sopravvivere attraverso curiosità e libido. E anche immaginazione, qualcosa di “diverso da fantasia e allucinazione, che consente di rompere lo status quo e dare il via libera alla novità”. Quel che fa Waldo, cogliere dettagli e arrivare alle conclusioni, come un detective.
“Mi rasserena pensare alla morte: mi spinge a fare le cose di fretta, vivere in modo più intenso. Credo che non ci sia ragione di deprimersi”. E per l’autore sessantaduenne, chiusa la pagina da scrittore con Uno Zero, si apre ora la carriera da sceneggiatore di serie tv.

MARCO GRITTI