La lezione di Casalegno, oggi

condividi

È impossibile per un giovane d’oggi entrare nel clima del ‘77”. Così Enrico Mentana inizia il suo intervento su Carlo Casalegno, lo storico vicedirettore de La Stampa ucciso dalle Brigate Rosse quarant’anni fa. Il contesto è un convegno organizzato dall’Università di Torino per ricordare i fatti del 29 novembre. Insieme al direttore del tg di La7, al banco dei relatori, siedono Gian Maria Ajani, rettore dell’università torinese, Franca Roncarolo, direttrice scientifica del master “Giorgio Bocca”, Maurizio Molinari, direttore della Stampa. Tutti si soffermano sui fatti di un decennio lontano, ricordando gli anni di piombo e il terrorismo. Ma la sfida più grande è quella lanciata da Mentana, che prova a rispondere a questa domanda: cosa ci insegna, oggi, la rubrica “Il nostro stato” di Casalegno? È possibile disegnare un tratto di unione tra il lavoro del giornalista vittima dei brigatisti e il mestiere di domani?

“All’epoca La Stampa e Casalegno erano un prodotto di eccellenza”, ricorda Mentana, “ma oggi non esistono giornalisti di riferimento per tutti. Il modo in cui i quotidiani sono costruiti – continua – è novecentesco: i giovani sono in grado di accedere a un’enorme quantità di notizie tramite i loro smartphone, ma si cibano a spizzichi e bocconi di un’informazione che non è costruita per i loro gusti”. Per Mentana, il compito di ripensare i quotidiani passa per le nuove generazioni con il supporto di tutto il mondo dell’informazione, “che deve dotarsi di istituzioni adeguate a promuovere prodotti innovativi”, e dello stato, “che deve favorire le nuove idee con un regime fiscale agevolato”. Anche i professionisti della vecchia guardia potrebbero aiutare, autotassandosi e “garantendo il passaggio generazionale nel modo meno paternalistico possibile”.

“Casalegno raccoglieva le notizie sul terreno – ricorda Molinari – e la sua rubrica si focalizzava sul rispetto delle leggi e dello stato di diritto”. Secondo il direttore de La Stampa, l’eredità di un grande professionista è tutta nel suo modo di lavorare. E soprattutto in una sensibilità in grado di conservare “la forza della memoria” di due momenti chiave della storia italiana: “Nell’epoca della Resistenza il popolo seppe difendere l’unità risorgimentale dai totalitarismi”. La stessa è necessaria adesso, mentre la politica impotente di fronte a migrazioni, crisi economica e terrorismo islamico.

Anche per Franca Roncarolo, che ricostruisce le fasi del giornalismo attraverso la storia nel loro rapporto con la politica, il futuro delle notizie dipende da una rifondazione in grado di ricostruire la fiducia. “Serve un nuovo patto tra politica e giornalismo – spiega – per ricostruire una convergenza sul bene comune nella reciproca autonomia”.

GIUSEPPE GIORDANO