Maria Ressa, giornalista e premio Nobel per la pace 2021, parla al pubblico del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia di democrazia, disinformazione e demagogia. Tre anni fa è stata citata dal Comitato Nobel per aver lottato coraggiosamente per “salvaguardare la libertà di espressione, rappresentando tutti i giornalisti che difendono questo ideale”. Dopo decenni di lavoro nella Cnn, dove si è occupata ha realizzando diverse inchieste occupandosi di Sud est asiatico, è stata cofondatrice di Rappler. Tramite il progetto online, a partire dal 2010, ha mosso una dura critica contro l’ex presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte. Ha attaccato il presidente filippino con un’indagine sulle “guerra della droga” e per questo ha subito una incarcerazione.
“E nel 2021 proprio nel periodo in cui mi trovavo ad Oslo, un mio collega nelle Filippine era stato ucciso davanti a casa sua. Trentasei ore prima che io ricevessi il Nobel”. Una libertà di informazione per la quale Maria Ressa ha sempre lottato. Ma sul futuro non si dice ottimista e racconta di un mondo nel quale democrazia e la libertà di stampa affrontano condizioni sempre più avverse. Descrive il 2024 come un anno cruciale. E, senza giri di parole, parla di “precipizio”. “Quest’anno – dice -, più che in qualsiasi altro momento della storia, la gente andrà a votare in contesti democratici, con 64 paesi e l’Unione europea che si recheranno alle urne. Degne di nota sono le elezioni negli Stati Uniti e nel Regno Unito, in Sud Africa, in luoghi come l’Indonesia e l’India”.
Equilibrio geopolitico sempre più vacillante, conflitti che attraversano il mondo. Non solo la questione del potere passa attraverso le scelte dei governi, “soprattutto – sottolinea Maria Ressa – viene esercitato dalla tecnologia. E dalle big tech, che hanno impugnato le redini del mondo, nel bene e nel male”. Accosta la parola “dittatore” a Mark Zuckerberg e spiega come gli algoritmi abbiamo preso effettivamente il controllo delle dinamiche comunicative e di informazione: “Parlo proprio del livello ‘cellulare’ della società, sulle persone che serviamo, dei gruppi che si comportano in modo diverso. La nostra biologia è stata ‘ripostata’ proprio perché questa tecnologia è così potente che ci sta plasmando. E la distribuzione del giornalismo non è nelle nostre mani come un decennio fa. Sempre di più assistiamo a una tecnologia usata per silenziare la nostra voce”.
Ma, dall’altra parte, suggerisce che i responsabili di un progressivo declino della democrazia sono di fatto gli stessi (e gli unici) in grado di salvaguardarla. “Gli attori tecnologici sono centrali in una guerra dell’informazione, che ha avuto un impatto su ogni parte della società – spiega Maria Ressa -. L’inclinazione alla libertà deve partire da loro, ma ovviamente non va a vantaggio degli interessi. L’Ue è intervenuta con l’introduzione della legge sui servizi digitali: è un inizio, ma la potenza economica pare essere sempre di maggiore rilievo rispetto ai valori democratici. Ora, a questo segue una presa di responsabilità da parte nostra, di noi giornalisti. Siamo i primi a dover raccontare come le persone vengono e verranno manipolate dalla tecnologia che ci connette”. Uno sguardo attento sul presente quello di Maria Ressa, preoccupato del futuro. E con la lucidità di chi sa di dover agire per difendere democrazia e diritti.