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La Gazzetta del Popolo nel Ventennio fascista

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La Gazzetta del Popolo ha dato voce a chi non aveva voce. La ricorda così, Gianpaolo Boetti, l’ultimo caporedattore del quotidiano nato nel 1848 e chiuso definitivamente nel 1983, dopo 135 anni. Boetti è stato ospite in un convegno a Palazzo Lascaris dal titolo “Liberi di informare?”. Si chiude proprio oggi, sempre nella sede del Consiglio regionale, una delle tre sezioni espositive in città dedicate allo storico giornale.

Fondato da Felice Govean e Giovanni Battista Bottero, ha attraversato diverse epoche dell’Ottocento e del Novecento italiano. Da filocavouriano a filocrispino, da antigiolittiano a filonazionalista durante lo scoppio della Prima Guerra mondiale e poi filofascista.
È dedicata al periodo fascista la mostra che si chiude oggi, lunedì 6 maggio, con esposizione di titoli degli anni ’30, inserti dedicati ai bambini, illustrazioni, satira, cartoline. Tutte tracce della memoria storica di quel Ventennio. Le altre due sezioni della mostra sono aperte fino al 19 maggio, al Polo del ‘900 e al Museo nazionale del Risorgimento Palazzo Carignano.

Ma dopo la dittatura di Mussolini si è aperto uno spiraglio dal sapore liberale: la Gazzetta del Popolo ha infatti rivaleggiato con il Corriere della Sera, ed è stato il primo quotidiano a sperimentare differenti tecniche di marketing, quando al tempo non esisteva ancora nella teoria. Alcune trovate furono rivoluzionarie per quegli anni, come quando pubblicava foto di eventi e se il lettore si riconosceva nell’immagine pubblicata riceveva regali o biglietti gratis per il teatro. Ancora: colonie estive per i lettori, giornate d’arte, feste natalizie e pasquali, voli in aereo offerti per osservare la città di Torino dall’alto. Premi anche per la donna che in tempi ‘neri’ doveva stare in casa a cucinare e procreare, quindi rubriche di cucina. Per primo, il quotidiano sperimentò la telefoto, molto costosa e che consentiva di pubblicare immagini da lontano e quasi in tempo reale.

Un giornale accessibile al popolo. Costava un soldo

Mauro Forno del Dipartimento di Studi storici Università di Torino ricorda gli sforzi che compì la Gazzetta per essere un giornale popolare, accessibile al popolo, in un periodo di diffuso analfabetismo. Linguaggio poco romanzato, articoli lontani dal romanticismo intellettuale e soprattutto costo accessibile: la Gazzetta del Popolo costava un soldo, come la penny press, appena 5 centesimi di lire. Tanto per contestualizzare, il Risorgimento di Cavour costava ben 40 centesimi di lire.

La cavalcata dunque arriva nel dopoguerra, quando il giornale mette in difficoltà il concorrente Corriere della Sera. Poi è tempo di crisi, nel 1974. Il giornale resta in vita grazie alla cooperativa di giornalisti e poligrafici. Ma la Gazzetta del Popolo non ce la farà a sopravvivere.

NICOLA TEOFILO

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