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“La Brigata ebraica e la Liberazione”, secondo Marco Brunazzi

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Ottanta anni dopo la liberazione italiana dal nazifascismo, la mostra “La Brigata ebraica e la Liberazione” ripercorre la storia dei volontari ebrei che aderirono prima al “Palestine Regiment” e poi dal 1944 al “Jewish Infantry Brigade Group”, raggiungendo la cifra stimata di 5mila unità. Ribattezzato in seguito “Brigata ebraica”, il corpo militare indipendente venne incorporato all’ottava Armata Britannica, ma mantenne la propria bandiera distintiva bianco-azzurra e l’insegna della stella di David adibita sulla divisa. Nella campagna di liberazione degli alleati anglo-americani, complementare al contributo partigiano nel centro-nord italiano, la Brigata ebraica ebbe un peso notevole in Emilia Romagna, nello sfondamento della Linea Gotica sul fronte del fiume Seni.

La mostra è stata curata da Stefano Scaletta ed è aperta al pubblico dal 15 aprile fino al 4 maggio, nella sede dell’associazione Camis De Fonseca di via Pietro Micca 15. Prevede 12 cartelloni esplicativi, riproduzioni di divise militari e diversi oggetti appartenuti ai combattenti. Tra gli enti promotori dell’esposizione, l’associazione Italia-Israele di Torino, il centro studi Nazionale Brigata ebraica di Milano e la fondazione di studi storici Gaetano Salvemini, presieduta da Marco Brunazzi, che ha spiegato ai nostri microfoni le origini della brigata.

Chi erano i volontari che aderirono alla Brigata ebraica?

La maggioranza era composta da giovani uomini sionisti provenienti dalla Palestina – all’epoca mandato britannico – con il chiaro obiettivo politico della dichiarazione di Balfour del 1917, ma si registrano anche una componente araba e una minoranza ebrea femminile. Inizialmente gli inglesi erano esitanti sulla loro formazione, ma a un certo punto le richieste si fecero troppo pressanti. Da un lato, la circolazione di notizie sui crimini nazisti indusse i britannici a dare un segnale di sostegno, dall’altro la formazione della Brigata ebraica permise di dirottare verso la campagna antinazista la componente sionista più nazionalista e di calmare così le acque. Non dimentichiamo che negli anni ‘40 sia gli arabi che i sionisti più radicali furono responsabili di attentati terroristici contro gli inglesi. Ciononostante, la Brigata ebraica non è stata monopolio della destra. Anche la corrente di ispirazione socialista di Ben Gurion si attivò: voleva mostrarsi affidabile agli occhi degli inglesi e non poteva lasciare che partecipassero solo i più radicali.

Che significato ha questa mostra a 80 anni dalla Liberazione?

Abbiamo sempre raccontato gli ebrei esclusivamente come vittime della Seconda guerra mondiale, ma non tutti lo furono. Negli anni è cresciuta l’idea che fosse opportuno ricordare la specificità della Brigata ebraica, accanto alla partecipazione alla Resistenza di ebrei italiani, che fu numericamente modesta ma non insignificante. Inoltre, il contributo della galassia dell’esercito imperiale britannico – Australia, Sudafrica, India – è stato spesso interpretato come secondario, ma lo reputo un errore: è certamente giusto valorizzare la componente partigiana, ma non bisogna dimenticare l’apporto decisivo degli Alleati.

Che ne fu della Brigata ebraica nel secondo dopoguerra?

A guerra finita, hanno aiutato quel che restava delle presenze ebraiche in giro dell’Europa, con assistenza sociale e supporto alle partenze verso il nuovo Stato di Israele. In più, anche se marginali, ci sono stati episodi di caccia ai criminali nazisti in cui i brigatisti si fecero giustizia da soli, nel timore che potessero scappare. Ma la resa dei conti avvenne in tutta l’Europa liberata: si parla spesso della giustizia sommaria che seguì il 25 aprile in Italia, ma in Francia per esempio fu molto più dura.

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