Per essere credibili bisogna essere ammazzati. Troppi nemici per Giovanni Falcone

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“Ognuno di noi ricorda quel momento, quando il 23 maggio 1992 arrivò la notizia dell’attentato. Ognuno di noi ricorda dove e con chi si trovava”. Con queste parole, l’ex ministro della cultura Massimo Bray introduce “Per essere credibili bisogna essere ammazzati”, incontro organizzato al XXX Salone Internazionale del Libro di Torino in occasione della presentazione del libro “L’assedio. Troppi nemici per Giovanni Falcone”, scritto dal giornalista del Corriere della Sera Giovanni Bianconi ed edito da Einaudi.

Presenti, insieme all’autore, il presidente onorario della FAI (Federazione Antiracket Italiana) Tano Grasso e l’ex magistrato Gian Carlo Caselli. A moderare l’evento, il direttore di Origami Cesare Martinetti. Anche quest’ultimo, come Massimo Bray, si sofferma sulla strage di Capaci, definendola “uno degli eventi che puntellò la storia del nostro paese”. Dopo quel chilometro e mezzo di autostrada polverizzato però, i relatori cominciano a entrare nel vivo della discussione, quella che ruota attorno al tema trattato nel libro di Bianconi: I nemici di Giovanni Falcone. Si perché, se il magistrato palermitano è stato considerato un eroe da morto, non si può dire altrettanto di quando era in vita. “Professionalmente è stato bastonato!” afferma Caselli con consueto tono appassionato. E, a sostegno della sua tesi, fornisce alcuni esempi. La Corte di Cassazione in primis, specialmente la sezione che nei processi di mafia era solita dare l’ultima parola; ma anche una parte del Consiglio Superiore della Magistratura e l’allora sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che accusava Falcone di tenere nascosti nel cassetto i fascicoli che attestavano rapporti tra mafia e politica (procedimento, quest’ultimo, che si concluse con l’assoluzione di Falcone il 4 giugno 1992, 12 giorni dopo la strage di Capaci).

Ma dove nasceva l’antagonismo nei confronti di colui il quale, oggi, è considerato un eroe? Tano Grasso provo a dare una risposta: “Che Falcone abbia subito l’opposizione dell’area conservatrice della magistratura non suscita scalpore. Ciò che sorprende è l’opposizione culturale e politica del nostro paese. Da Portella della Ginestra fino a Peppino Impastato – aggiunge – l’antimafia era vista come un’attività appannaggio della sinistra. Con Falcone, invece, l’antimafia assume una connotazione morale“, disgiunta da qualunque ideologia politica. Grasso non risparmia neppure riferimenti a Leonardo Sciascia e al suo “professionisti dell’antimafia”: “Falcone ha cominciato a morire quando uscì quell’articolo”.

A 25 anni di distanza da Capaci gioverebbe a tutti rileggere l’ estratto della sentenza, emanata dalla seconda sezione Penale della Corte di Corte di Cassazione il 6 maggio 2004, relativa al fallito attentato all’Addaura: “Non vi è dubbio che Giovanni Falcone fu sottoposto a un infame linciaggio – prolungato nel tempo, proveniente da piú parti, gravemente oltraggioso nei termini, nei modi e nelle forme – diretto a stroncare per sempre, con vili e spregevoli accuse, la reputazione e il decoro professionale del valoroso magistrato. Non vi è alcun dubbio che […] fu oggetto di torbidi giochi di potere, di strumentalizzazioni a opera della partitocrazia, di meschini sentimenti di invidia e gelosia (anche all’interno delle stesse istituzioni), tendenti a impedirgli che assumesse quei prestigiosi incarichi i quali dovevano, invece, a lui essere conferiti sia per essere egli il più meritevole”.

PASQUALE MASSIMO