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L’app Immuni da sola non può aiutare a contenere i contagi da Covid-19

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Una piccola tessera in un puzzle a cui mancano ancora molti pezzi. Così è stata definita l’app per il tracciamento dei contatti Immuni, protagonista del quarto appuntamento di “Spazio pubblico online”, il ciclo di incontri promosso dall’Università degli Studi di Torino. Lo strumento digitale, presentato dall’azienda di software Bending Spoons all’appello lanciato dal ministero dell’Innovazione lo scorso 23 marzo, è stato scelto lo scorso aprile dal Governo per tracciare i contatti delle persone e avere una risorsa in più nel contenimento dei contagi da Covid-19 ma, come spiegato dai relatori ieri pomeriggio, 13 maggio, presenta questioni giuridiche rilevanti e rischia di essere inutile. Il tracciamento deve infatti essere inserito in una rete che curi anche i test e i trattamenti ai pazienti per essere realmente efficace. Spesso invece si tende a semplificare la questione, sulla scorta di un certo “soluzionismo” tecnologico.

La giornalista Carola Frediani, che dall’inizio segue le vicissitudini di Immuni per la sua newsletter Guerre di Rete, ha ricostruito il quadro delle informazioni note: l’app funzionerà con la tecnologia Bluetooth e registrerà sul dispositivo su cui sarà scaricata volontariamente i contatti di prossimità con gli altri device dotati dell’applicazione. Nel momento in cui un cittadino venisse riconosciuto dai test diagnostici come positivo al Covid-19, un avviso metterà in allerta tutti i contatti con cui è stato a distanza di circa un metro nei quattordici giorni precedenti. Che cosa seguirà a questo avviso per i potenziali contagiati, al momento, non si sa.
Immuni doveva essere pronta con l’inizio della Fase 2, ma l’accordo tra Apple e Google ha indotto ad abbandonare l’iniziale progetto di adesione al piano di tracciamento di prossimità europeo (Pepp-pt) per beneficiare dell’infrastruttura digitale che favorirà l’interoperabilità (il funzionamento dell’app anche tra dispositivi con sistema operativo diverso) e la decentralizzazione dei dati (ossia la loro raccolta in locale), messa a punto dalle aziende tecnologiche americane. Arriverà probabilmente a giugno, settimane dopo la fine della quarantena, ma come sottolineato dagli altri due ospiti dell’incontro di Unito, il professore di Filosofia del diritto Ugo Pagallo e l’avvocato Carlo Blengino, bisogna valutare con attenzione la finalità dello strumento. Pagallo ha espresso dubbi sul fatto che i dati raccolti dall’app, per quanto anonimizzati, possano essere davvero cancellati nell’arco di pochi mesi come preannunciato. Blengino ha invece riflettuto sulla sostanza dei diritti alla riservatezza e alla protezione dei dati personali, due aspetti simili ma differenti, da non mettere in contrapposizione al diritto fondamentale alla salute. In caso contrario, si corre il rischio di finire in un vicolo cieco.

LUCA PARENA