La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Joe R. Lansdale: “Scrivo per me, non per piacere agli altri”

condividi

“Penso di essere terribile a costruire delle trame: a dire la verità, non so bene che cosa faccio quando scrivo”. Joe Lansdale, fresco di libreria con il suo ultimo romanzo “Moon Lake” (Einaudi, 2022), affida le sue confessioni al pubblico – foltissimo – che lo ascolta dal Salone Internazionale del Libro di Torino. “La storia mi arriva e io inizio a raccontarla, non costruisco quasi mai una trama in anticipo. Ascolto le mie sensazioni, il subconscio: percepisco che c’è un racconto, non so di che cosa parla, so solo che c’è. A quel punto mi siedo e inizio a lavorare”. L’immagine che lo scrittore americano usa per definire il suo modo di procedere, la sua “non-tecnica”, è quella di un pozzo, che di notte si riempie di suggestioni e di mattina le svuota sulla pagina. “A un certo punto mi accorgo che tutto si incastra”. Sembra una magia, ma è un processo che viene da un subconscio allenato da anni e anni di esperienza. Lansdale, nato in Texas nel 1951, ha pubblicato romanzi, racconti, fumetti e fantascienza, ma anche testi per la televisione e sceneggiature per il cinema. “Lavoro tre ore al giorno, non di più”, dice. Per il resto del tempo insegna arti marziali, sua grande passione fin dall’infanzia. Ha aperto una scuola in Texas e inventato uno stile riconosciuto a livello internazionale, lo Shen Chuan (“pugno dello spirito”).

La sua ultima fatica, “Moon Lake”, si annuncia come uno dei fenomeni editoriali della stagione. Un romanzo di formazione, il cui protagonista, Daniel, ha solo 14 anni quando suo padre lancia l’auto su cui viaggiavano nelle acque del Moon Lake: un decennio più tardi, insieme ai resti dell’incidente, verranno portati alla luce segreti che scuoteranno l’intera cittadina. La metafora del lago, dell’acqua che copre oscurità e segreti, è una delle tante scelte da Lansdale per descrivere una realtà sfaccettata e complessa, dove le risposte arrivano in ritardo o non arrivano proprio. “Ho una specie di fissazione per metafore e similitudini”, dice. “Credo di averla ereditata dalle persone con cui sono cresciuto e dagli autori che ho letto e amato: in Bradbury, per citarne solo , le rocce e gli alberi prendono vita attraverso le descrizioni”. Anche per le metafore, vale ciò che vale per le storie: “Non ci penso consciamente, ogni figura retorica che uso ne porta altre”. E se esagera? “Non importa, è il mio stile. Si scrive per se stessi, non per piacere agli altri”.