La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Italiani d’Inghilterra, paura di dover tornare dopo la Brexit

Nel Regno Unito vive più di mezzo milione di connazionali, di cui, secondo l’AIRE – Anagrafe italiani residenti all’estero – 261.585 sono residenti, mentre oltre 300mila persone vivono là pur mantenendo ancora la residenza italiana. Quali sono gli effetti che la Brexit potrebbe avere su di loro? La domanda è stata rivolta ai giovani ragazzi che vivono in UK i quali hanno realizzato dei video-selfie per trovare una risposta. Terminata la prima ondata migratoria che tra gli anni ‘50 e ‘60 ha portato in Gran Bretagna baristi e ristoratori, i nuovi immigrati sono invece per la maggior parte professionisti laureati o ricercatori.

La “fuga di cervelli” 2.0 oltrepassa la Manica in cerca di sicurezza; ma adesso che è stata avviata la procedura prevista dall’articolo 50 del trattato di Lisbona, aumentano i dubbi e le preoccupazioni su quali potrebbero essere i cambiamenti a partire da Aprile 2019. Certezze in proposito non ce ne sono, lo stesso governo inglese non ha ancora deciso quale linea adottare sull’argomento. Il mondo politico è diviso e, nel tentativo di ottenere anche una legittimazione popolare diretta, Theresa May ha deciso di anticipare le elezioni all’8 giugno.

Italiani d’Inghilterra

Denise Puca, a Londra da 3 anni

Ci hanno chiesto scusa personalmente

Denise Puca, 26 anni, napoletana, vive in Inghilterra da tre anni. La ONG in campo ambientale per cui lavora si è impegnata a offrire supporto ai lavoratori europei per rendere la transizione meno dolorosa, il problema è il costo dei permessi di soggiorno. In altri settori, soprattutto bancario, le aziende, però, stanno prendendo in considerazione l’ipotesi di spostare le proprie sedi in altri paesi europei. “Come si fa a chiedere a migliaia di impiegati che hanno costruito vita e famiglie, lontano dai propri paesi di origine, di spostare tutto da un momento all’altro?” si domanda Denise, che aggiunge: “Forse l’unico lato positivo della Brexit è che i legami tra le varie culture e gli inglesi si sono rafforzati. Conosco persone che il giorno dopo il risultato del referendum hanno bussato alle porte dei vicini di casa per scusarsi personalmente e ricordare che lo spirito di accoglienza non è cambiato. Sono piccoli gesti che vanno ricordati”.

 

Antonio D’Andrea. A Londra da 7 anni

Ciò che ha spinto al Leave è l’immigrazione

La situazione è ancora incerta per decidere se fare le valigie o rimanere, lo sottolinea bene Antonio D’Andrea, 27 anni, anche lui di origini campane e al momento senior sale nel reparto uomo di Prada. “Non sono così preoccupato al momento” dice Antonio: “Non è per pigrizia, ma semplicemente valuterò cosa fare una volta che le cose saranno ben chiare”. È proprio la mancanza di chiarezza, secondo lui, “ciò che ha spinto la maggioranza a votare “Leave”, con una campagna prettamente incentrata sull’unico tema che il cittadino inglese ha sempre rivendicato: l’immigrazione”. Vive a Londra da 7 anni e nonostante la situazione incerta continua a descriverla come una città “accogliente e cosmopolita”.

“Quante volte avete lasciato il Regno Unito?”

Buona norma, più per previdenza che per necessità, sarebbe quella di chiedere all’Home Office un documento che attesti la residenza permanente inglese. Questo perché, per quanto gli effetti della Brexit non siano ancora chiari e il governo abbia spesso dichiarato che i cittadini non inglesi potranno rimanere anche dopo l’applicazione dell’articolo 50, hanno bisogno di dimostrare la loro presenza nell’UK prima del “leave” definitivo. Il documento diventa quindi indispensabile per passare la frontiera, ma potrà essere richiesto soltanto da chi risiede da oltre 5 anni. Tra le pratiche da consegnare per ottenere la “permanent resident card” rientra anche un questionario di 85 pagine, le prime 18 di istruzioni. Fra le domande la richiesta di registrare tutte le volte che si è lasciato il Regno Unito.

Le opinioni sul futuro però sono divergenti. Antonio si dice tranquillo, consiglia di “evitare ansie e preconcetti” proprio per la natura multietnica della City. Ammette però che qualcuno dei suoi coetanei: “ha le valige pronte, in attesa delle decisioni istituzionali” alla ricerca di nuove destinazioni, possibilmente europee.

Per Denise altre opzioni sono invece da “prendere seriamente in considerazione”, perché tra gli anni necessari richiesti per la residenza e i due anni che porteranno la Uk a lasciare l’Ue: “i nuovi espatriati potrebbero trovarsi in un limbo legislativo”. Dice che vorrebbe: “venisse data a tutti i cittadini europei la possibilità di continuare a fare le stesse mie scelte in maniera indipendente” e aggiunge che non vuole lasciare Londra.

Tornare in Italia fa paura

Tra ingegneri e insegnanti di italiano, pizzaioli e studenti Erasmus, il made in Italy trasferito oltre Manica, per quanto ottimista, dimostra una comune paura per il futuro: dovere tornare a casa, cosa che non sembra impossibile. Secondo il Guardian, viste le difficoltà di compilazione del modulo per richiedere la residenza permanente, solo nel 2016 sono il 28% le richieste respinte. Come riportato da Repubblica nei recenti sondaggi crescono i consensi per i conservatori che aumentando il distacco di 21 punti percentuali sui Laburisti, il che permetterebbe alla May di vincere facilmente tutte le battaglie sulla Brexit.

Il quadro inglese assume contorni sempre più complicati per i ragazzi italiani che hanno in passato cercato nell’isola una nuova America. La burocrazia stringente unita alla vittoria del “Leave” ha gettato sconforto nella generazione Erasmus che sperava in un futuro roseo nel Regno Unito. Le principali preoccupazioni sono in fondo le stesse che troverebbero qua, con la differenza che l’Europa l’hanno conosciuta davvero in Inghilterra, che Europa non sarà più.

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MASSIMILIANO MATTIELLO
CORINNA MORI