In un ambiente in cui sempre più culture vengono a contatto, lo sport ha bisogno di nuove competenze. Si parte dai punti in comune e alla domanda “Chi viene dallo sport?”, tutti alzano la mano in sala. Sono i futuri allenatori ed educatori presenti al seminario “Io vengo dallo sport”, parte dell’ambito formativo del progetto “Sport e integrazione” che mira a introdurre le studentesse e gli studenti di Scienze Motorie dell’Università di Torino agli strumenti giusti per lavorare in ambienti multiculturali, dove la parola chiave deve essere una sola: inclusione. Una sola parola per fare in modo che l’accesso allo sport diventi democratico, eliminando le barriere economiche e gli episodi razzisti. In mezzo agli studenti, tre atleti che hanno portato le loro testimonianze sportive e di integrazione: Josè Reynaldo Bencosme de Leon, velocista delle Fiamme Gialle; Daisy Oyemwenosa Osakue, lanciatrice delle Fiamme Gialle, e Great Nnachi, saltatrice con l’asta del Battaglio CUS Torino Atletica. Il titolo del seminario, organizzato da SUISM in collaborazione con Sport e Salute S.p.A e l’Università di Torino, è chiaro, la provenienza di ognuno di noi non conta, ma contano le passioni che ci accomunano. Lo sport deve essere una di queste, uno strumento per appianare le differenze.
“Lo sport è tra i più potenti strumenti di integrazione che abbiamo a disposizione, poiché riesce a mettere in comunicazione persone di diversa provenienza, lingua ed etnia attraverso una passione comune” afferma Bencosme, che arrivato nel 2004 a Cuneo dalla Repubblica Dominicana ha trovato nell’atletica una casa e nel suo primo allenatore un padre. L’importanza della figura dell’allenatore è stata uno dei temi discussi durante la mattinata. Per chi arriva da un’altra cultura questa figura è ancora più importante. Bencosme quando è arrivato non parlava italiano e non sapeva cosa fossero gli sci. E l’atleta avvisa gli studenti: ”Il legame che si creerà con i vostri atleti sarà molto forte. Il mio allenatore sapeva di me più dei miei genitori”. I futuri tecnici presenti avranno una grande responsabilità sulle proprie spalle: favorire il processo non facile di crescita sportiva e umana dei propri atleti. Ciò è emerso anche nelle testimonianze delle altre due atlete. “La mia allenatrice Maria Marello è il mio faro, che mi indica la strada ed è grazie a lei se oggi sono dove sono”, dice Osakue. Anche per Great Nnachi, il suo allenatore, Luciano Gemello, rappresenta una costante : “A 6 anni è mancato mio padre e lui è diventato il mio punto di riferimento”. Un destino accomuna poi le due ragazze che, nate e cresciute entrambe in Italia da genitori stranieri, non hanno potuto rappresentare il paese fino ai 18 anni quando hanno ottenuto la cittadinanza. Nnachi, che l’11 marzo gareggerà per la prima volta con la maglia azzurra, si è vista annullare un record per questo motivo: ”Fortunatamente siamo riusciti a cambiare il regolamento e ho dovuto rifare il record affinché fosse convalidato, ma ora ce l’ho”.
Non solo grandi risultati, lo sport deve essere per tutti e deve rappresentare soprattutto divertimento. Le ragazze e i ragazzi presenti in aula non alleneranno solo futuri campioni. Simone Loria, ex calciatore, ha fondato nel 2013 una scuola calcio nel quartiere di Barriera di Milano: “I bambini meno bravi sono quelli che hanno più voglia. Il mio obiettivo non è quello di vincere le partite, io vinco quando loro imparano e sono contenti”.