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Dl Sicurezza, Pelissero: “Non vedo i presupposti di urgenza”

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Il decreto legge Sicurezza è stato approvato venerdì dal Consiglio dei ministri, suscitando polemiche sul metodo adottato dal Governo, che ha escluso la discussione in Parlamento. Il testo, che in origine era un disegno di legge, contiene diverse misure sulle forze di polizia, sull’ordinamento delle carceri e in generale sulla pubblica sicurezza. Il dibattito è stato tuttavia oscurato da altre questioni come i dazi e l’andamento delle Borse. Abbiamo chiesto al professor Marco Pelissero, docente di Giustizia penale all’Università degli Studi di Torino, che cosa comporta questo provvedimento e quali conseguenze avrà.

Dunque, il disegno di legge Sicurezza, dopo un anno in cui era di fatto arenato in Parlamento, è stato convertito in decreto-legge. Ci spiega le differenze tra questi due strumenti?

“L’iter ordinario prevede che il disegno di legge venga discusso da una Camera e poi, una volta approvato, passi all’altra.  Il ddl Sicurezza era già stato approvato dalla Camera dei deputati nel settembre del 2024, quindi era passato all’esame del Senato, dove in Commissione si erano proposti emendamenti. Se il Senato avesse approvato il testo già approvato dalla Camera, sarebbe diventato legge, una volta che il presidente della Repubblica lo avesse promulgato. Se invece il Senato avesse cambiato il testo, esso sarebbe dovuto nuovamente tornare alla Camera, perché è necessario che lo stesso testo abbia l’approvazione di entrambe le Camere. Questo era l’iter che doveva essere seguito, quindi mi ha molto stupito questa approvazione del decreto-legge. Sicuramente ci sarebbero state delle modifiche, anche perché il presidente della Repubblica aveva evidenziato alcuni elementi di questo ddl che avevano profili di possibili frizioni con i principi costituzionali. L’art. 77 della Costituzione consente al Governo l’approvazione di un decreto-legge nei soli casi di necessità e urgenza che qui non vedo, considerato che da un anno il testo del ddl era all’esame del Parlamento”.

Quale iter seguirà il nuovo decreto-legge?

“Il decreto, una volta approvato dal Governo, viene pubblicato in Gazzetta ufficiale ed entra in vigore. A quel punto il Parlamento ha 60 giorni di tempo per convertirlo in legge”.

Come denuncia l’opposizione, si rischia di esautorare il Parlamento con questo decreto?

“Naturalmente sì, perché il decreto entra immediatamente in vigore. Un conto è che decida il Parlamento nella sua autonomia sovrana, tanto più che qui abbiamo a che fare con un decreto che introduce diversi reati, diverse aggravanti, interviene pesantemente sulla materia penale. Ma qui è il Governo che entra a gamba tesa in un procedimento naturale che stava portando all’approvazione del disegno di legge da parte delle due camere”.

Il ministero dell’Interno sostiene che l’urgenza è sotto gli occhi di tutti, soprattutto per quanto riguarda la tutela delle forze dell’ordine.

“Però come si fa a giustificare la necessità e urgenza di un testo che era già all’esame del Parlamento da più di un anno? Sono inconsistenti i presupposti di necessità e urgenza. In politica si può cercare di giustificare tutto, ma quali norme tutelerebbero di più la polizia, forse le norme che incriminano le persone che realizzano il reato di blocco stradale senza condotte di natura violenta? Perché c’è un nuovo reato che punisce il blocco stradale realizzato da più persone. Questa è una criminalizzazione di certe modalità di manifestazione del dissenso. Si introduce un reato di rivolta all’interno delle carceri che attribuisce rilievo anche alla resistenza meramente passiva di disobbedienza agli ordini. Serviva questo reato per tutelare le forze di polizia? Non vedo proprio come ci sia un’esigenza di tutela”.

A proposito, una norma riguarda gli agenti di polizia e i militari che, se dovessero essere indagati o imputati per atti commessi o fatti accaduti in servizio, potranno continuare a lavorare e le eventuali spese legali saranno a cario dello Stato, fino a un massimo di 10mila euro per ogni fase del procedimento. Come la valuta?

“Mi sembra una copertura molto ampia. Tra l’altro la norma dice ‘salvo rivalsa se al termine del procedimento è accertata la responsabilità del dipendente a titolo di dolo’. Quindi solo se si accerta che il poliziotto, nell’esercizio delle sue funzioni, ha realizzato una condotta dolosa, allora in quel caso lo Stato non copre. Ma in tutti gli altri casi lo Stato copre, quindi mi viene da dire che lo Stato copre anche quando il poliziotto deve rispondere di un eccesso colposo nell’uso delle armi. Questo mi pare un elemento di irragionevolezza della disposizione”.

Il decreto cancella l’obbligo di rinvio dell’esecuzione della pena per le donne incinte e con figli fino a un anno. Quali conseguenze?

“Questa disposizione irrigidisce il sistema perché si voleva evitare che ci fosse la possibilità che i bambini finissero in carcere, almeno in tenera età. Prima il giudice era obbligato a rinviare la pena detentiva nei confronti della donna. Ora c’è una forte discrezionalità perché questa valutazione è rimessa all’autorità giudiziaria, che spero tenga conto del bilanciamento tra le esigenze di sicurezza e la tutela del bambino e dia maggior peso a quest’ultima. In ogni caso è bene che sia stato previsto che l’esecuzione della pena debba avvenire presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri”.

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