Organico insufficiente, docenti costretti a svolgere mansioni non pertinenti, fondi non pervenuti: negli istituti torinesi si lavora in una situazione di emergenza. A Torino – più che in altri luoghi – scuola dovrebbe essere sinonimo di integrazione e inclusione. Spesso, però, la didattica funziona solo grazie agli sforzi dei docenti.
Il Piemonte continua a distinguersi come uno dei territori con la presenza più consistente di studenti e studentesse con cittadinanza non italiana. Nel 2022/23 le scuole subalpine hanno accolto 81.762 alunni stranieri, confermando il Piemonte tra le realtà più dinamiche e multiculturali del Nord Italia. Al centro di questo scenario c’è Torino, terza provincia in Italia per numero di giovanissimi da altri paesi dopo Roma e Milano: una città in cui le aule raccontano ogni giorno l’intreccio di lingue, storie familiari e percorsi migratori che hanno ormai radici profonde sul territorio.
Nell’anno scolastico 2024/2025 nelle scuole primarie gli alunni sono stati in totale 27.006. Di questi 8.430 sono senza cittadinanza italiana. Per quanto riguarda le scuole secondarie di primo grado – le medie – gli alunni sono stati 17.952, 5.331 con cittadinanza non italiana. Le tabelle qui sotto mostrano il numero di alunni divisi per circoscrizione e le relative percentuali.

Il numero complessivo della popolazione studentesca piemontese scende di anno in anno. Continua a crescere, invece, quello di ragazzi e ragazze con background migratorio. Molti di loro sono nati in Italia da genitori stranieri: per questo risultano senza cittadinanza italiana.
Il grafico mostra la percentuale complessiva di alunni con cittadinanza italiana e non per la scuola primaria e secondaria di primo grado, sempre per l’anno scolastico 2024/25.
La riduzione del numero di studenti e studentesse è uno dei sintomi del calo demografico in corso. Secondo le ultime stime sull’andamento della popolazione pubblicate dall’Istat, nel 2050 gli abitanti del Piemonte potrebbero scendere sotto la soglia dei 4 milioni. Il saldo tra morti e nati è negativo. Il quadro diventa più critico quando si osserva la distribuzione per età: il rapporto tra giovani e pensionati si sta sbilanciando sempre di più, con effetti diretti sulla disponibilità di forza lavoro. Entro il 2030 il Piemonte perderà 54.760 under 14 e 63.071 persone in età lavorativa (15-64 anni), mentre il numero degli over 65 crescerà di 84.729 unità. Un cambiamento che riguarda, senza eccezioni, tutte le province piemontesi.
Quando si guarda a questi dati si sente parlare dell’immigrazione come un fattore che possa bilanciare il calo demografico. Le famiglie con background migratorio, però, sono messe nella condizione di essere una risorsa?
“Non si fa abbastanza per l’integrazione a livello scolastico – dice l’assessora alle politiche educative, giovanili, rigenerazione urbana e periferie della Città di Torino Carlotta Salerno -, servono più persone e più fondi”. Salerno parla con la consapevolezza che la Città e il suo stesso assessorato hanno possibilità limitate: la politica scolastica è competenza dello Stato, del Ministero, rappresentato sul territorio dall’ufficio scolastico regionale. “Il calo demografico è un’emergenza – prosegue Salerno – ; in attesa di un’inversione di tendenza si potrebbe cercare di usare questa fase per strutturare al meglio il sistema di integrazione. Il rapporto tra alunni e professionisti disponibili è più alto del solito”.
La classe 023, uno strumento a doppio taglio
Nel percorso che porta all’integrazione, l’elemento che viene più attenzionato è l’insegnamento della lingua. Nel 2016 l’allora Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca – oggi Ministero dell’istruzione e del merito – ha istituito con il Decreto Ministeriale 92/2016 la classe di concorso A023. Costituisce una specifica qualifica professionale prevista dal sistema scolastico italiano per l’insegnamento della lingua italiana ad allieve e allievi stranieri. È stata introdotta per rispondere al crescente fabbisogno di docenti specializzati nell’insegnamento dell’italiano come seconda lingua (L2). I titolari della A023 sono formati per supportare studenti alloglotti, favorendo l’integrazione linguistica e culturale e garantendo pari opportunità di apprendimento. Prima della sua istituzione, non esisteva una classe di concorso dedicata esclusivamente a questo ambito.
Fino al 2024, però, la classe A023 era aperta solo per l’insegnamento nei Cpia, i centri di istruzione per gli adulti. Da settembre 2025 i docenti di italiano L2 hanno accesso anche alle scuole medie e superiori. In Piemonte gli insegnanti che hanno ricevuto l’incarico sono in totale 70 e nella maggior parte delle scuole torinesi è stato assegnato un solo docente per istituto.
Mariateresa Serranò è una docente di italiano e storia presso l’istituto Bodoni-Paravia, esperta anche di italiano L2. Insieme a un’altra insegnante ha raccolto – tramite un Google form – alcune testimonianze dei professori A023. Le criticità che sono emerse sono molteplici. Si lamenta l’assenza di linee guida ministeriali, che provoca una disomogeneità dei ruoli all’interno dei diversi istituti. Non esiste un quadro normativo sulla figura del docente A023 e per questo i dirigenti dispongono della figura in modo piuttosto arbitrario. “Una collega – racconta Serranò – si è sentita dire che l’insegnamento di L2 era già presente nella scuola con progetti esterni e che quindi lei avrebbe dovuto fare potenziamento per tutto l’istituto”. Il tema è emerso anche nella raccolta dati, dove si legge che spesso il docente viene usato per supplenze o per un potenziamento generico. “In alcuni casi siamo dovuti intervenire a livello sindacale in modo che i dirigenti avessero chiaro il ruolo dell’insegnamento di italiano L2”, aggiunge la professoressa, che è anche rappresentante sindacale unitaria per Flc Cgil.
In generale, all’insegnamento dell’italiano per stranieri vengono raramente corrisposti spazi e tempi adeguati. Mancano aule e materiale didattico e i docenti faticano a garantire la necessaria continuità. La tutela del diritto allo studio degli studenti definiti nai – nuovi arrivati in Italia – “viene di rado garantita”, dice Serranò. Ci sono anche realtà positive, dove il ruolo dell’A023 è valorizzato. Spesso, però, questo è il risultato di un impegno del singolo docente. All’istituto Bodoni Paravia, per esempio, Serranò e le colleghe hanno creato una biblioteca con testi ad hoc e somministrato test di livello. In questo modo i corsi possono essere erogati al meglio possibile.
“Si lavora sempre e comunque in un’ottica emergenziale – continua Serranò -, dobbiamo sfruttare le linee progettuali quando ci sono dei fondi, ma non esiste nessun piano strutturale”. Secondo la docente, l’unico modo per “integrare davvero le fragilità dovute a background migratorio è il recupero continuo delle carenze. Serve un impegno anche economico per una vera riduzione del numero di studenti per classe, che permetta un rapporto più diretto tra insegnanti e studenti, per corsi di recupero delle conoscenze e delle abilità di base, per attività di sostegno allo studio e il tempo pieno, per corsi L2 e una seria mediazione culturale”. Bisogna uscire, sottolinea, “dalla logica della bocciatura come soluzione e dare concretezza a un principio: se non sai qualcosa, farò in modo di insegnartela”.
Scuola: punti di forza e necessità
Le scuole primarie e le scuole dell’infanzia sono il luogo in cui i bambini passano la maggior parte delle ore della giornata. Per chi è appena arrivato in Italia o vive a Torino da poco tempo, sono la prima e principale opportunità di integrazione.
La mappa mostra le sedi degli istituti in cui insegnano docenti intervistate e intervistati.
Barbara Castro lavora all’istituto comprensivo Pier Giorgio Frassati, che comprende tre plessi: scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado. Dopo quattro anni alla primaria, questo è il suo terzo anno nella scuola dell’infanzia. Tutti e tre gli edifici dell’Ic si trovano nella zona di corso Potenza. Quando si parla di immigrazione e di scuole con alunni con background migratorio, si tende a pensare ai quartieri Aurora e Barriera di Milano. In realtà “il flusso migratorio è aumentato anche da noi – spiega Castro – e al momento alla scuola dell’infanzia abbiamo circa l’80 per cento di bambini stranieri. Nella mia classe su venti alunni 16 non hanno la cittadinanza italiana”. Alla scuola dell’infanzia la lingua italiana passa attraverso i numeri, i giorni della settimana e raccontare la propria giornata. “Un problema che abbiamo sempre avuto è stato comunicare con i genitori. Non tutti sanno l’italiano, ma molte mamme stanno iniziando a frequentare dei corsi”. Così si è formata una rete: “Chi parla meglio la lingua traduce per le altre, ci veniamo incontro”.
Molti genitori seguono i corsi di italiano nei Cpia, i centri provinciali per l’istruzione degli adulti. Non nascono, in realtà, per persone provenienti da altri paesi. La prima forma istituzionale dell’educazione degli adulti nasce negli anni ‘90 con i Ctp, i centri territoriali permanenti. “Inizialmente – spiega Elena Sasso di Flc Cgil, che segue personalmente i Cpia Torinesi – queste realtà alfabetizzavano le persone in arrivo dal Sud Italia, poi hanno lavorato con donne, persone in dispersione scolastica e chiunque avesse bisogno di recuperare istruzione e cultura”.
I Cpia sono nati dall’accorpamento dei Ctp, quando si è dato riconoscimento normativo all’istruzione degli adulti come ordine di scuola autonomo. “Questo ha portato anche rigidità – continua Sasso -, perché è diventata una scuola in senso formale senza che le risorse aumentassero. L’organico è rimasto quello dei vecchi Ctp, nonostante i bisogni siano cambiati moltissimo”. I Cpia non hanno come solo scopo l’insegnamento dell’italiano come L2, ma è un’attività presente al loro interno. Gli iscritti a Cpia torinesi sono tantissimi. Ci si concentra principalmente sulla terza media per adulti – circa 400 ore – e sui corsi di alfabetizzazione di livello A2, richiesto per il permesso di soggiorno. “Il problema principale è una somma di organici insufficienti e spazi inesistenti”. Nessun Cpia, infatti, ha una sede vera e propria, ma sono ospiti di altre strutture: una “scuola senza scuola”. Nonostante le difficoltà, molte persone con background migratorio ottengono un livello di italiano A2 in questi centri.
Tra le scuole primarie che spiccano per la presenza di alunni con cittadinanza non italiana c’è l’istituto comprensivo Aristide Gabelli. Anche qui – come all’Ic Frassati – circa l’80 per cento della popolazione scolastica è composta da studenti con background migratorio. “Ci descrivono come una scuola ghetto – dice Valeria Francese, che insegna alla scuola primaria e è anche rsu della Cub – Confederazione unitaria di base -, ma i bambini sono una risorsa e impariamo tanto da ognuno di loro. Il quartiere, invece, non è mai stato salvaguardato”.
L’Ic Gabelli è protagonista anche di numerosi progetti. Tra questi spicca l’iniziativa “La mia scuola, il mio quartiere”, promossa da LanguageAid. L’associazione ha costruito un piano didattico da implementare nelle scuole dei quartieri con maggiore presenza di persone con cittadinanza non italiana. Con i fondi del Pnrr e la collaborazione del dirigente della scuola, Luca Bollero, LanguageAid ha avviato quattro corsi: per i docenti della primaria, della secondaria, della scuola dell’infanzia e l’ultimo per il personale Ata. Insieme ai partecipanti il piano didattico ha individuato le principali criticità e i bisogni comunicativi giornalieri. “L’obiettivo principale – spiega Ilaria Molendi, di LanguageAid – era superare le barriere linguistiche che ostacolano un buon percorso scolastico”. Il personale docente e Ata ha potuto imparare strategie adatte ai colloqui con i genitori. Inoltre, duranti i corsi lo staff di LanguageAid ha cercato di avvicinare gli insegnanti all’uso della tecnologia per migliorare la comunicazione. Un progetto pilota “che ha riscosso grande successo”.

I sondaggi di LanguageAid confermano le sfide che i docenti – e i genitori – devono affrontare ogni giorno, quando sono presenti ostacoli linguistici. Gli insegnanti riferiscono difficoltà nello svolgere i programmi e nel comunicare con le famiglie. Molti chiedono un supporto maggiore da parte degli istituti. Inoltre, gli insegnanti sono positivamente colpiti dal senso di comunità che si crea nei contesti complessi: i genitori che aiutano con la traduzione sono un prezioso aiuto.
Tra Barriera di Milano e Regio Parco c’è anche l’istituto comprensivo Bobbio Novaro. Barriera di Milano è uno dei quartieri più densamente popolati di Torino ed è anche il quartiere con più residenti di origine straniera. Su un totale di 139mila nella città, 19mila vivono proprio a Barriera. Il dato si riflette nella popolazione scolastica. “Alla primaria l’integrazione inizia facendo stare i bambini insieme ad altri bambini”, spiega Silvana Schirripa. “La settimana scorsa ho ricevuto in classe una bambina Nai. Secondo i genitori non parlava italiano, ma già all’intervallo stava interagendo con i compagni”. Per questo i docenti vorrebbero più laboratori ed evitare la separazione dei corsi di L2 dal resto della didattica. La scuola fa molto, ma non può fare tutto: “Raramente i fondi Pnrr coinvolgono la primaria e servirebbero più attenzioni per l’intera comunità educante”.
Nella sezione delle medie dell’istituto comprensivo Bobbio Novaro a situazione è molto simile alla primaria. “I nuovi arrivi sono costanti – racconta Antonio Tallarico, professore di francese -, partiamo a settembre con un numero molto inferiore a quello finale”. In classe si accolgono alunni con storie diverse alle spalle. “La questione linguistica è il primo ostacolo, ma non è l’unico: ci sono barriere di tipo economico e traumi che i ragazzi e le ragazze con alle spalle un percorso migratorio devono elaborare”.
Per affrontare il primo problema, quello linguistico, alla Bobbio Novaro è stata attivata una cattedra A023. Le ore, però, “non bastano”. In generale, spiega Tallarico, “manca un supporto ben strutturato dal punto di vista istituzionale. Gli insegnanti si fanno carico di situazioni al limite, anche dal punto di vista emotivo, per far fronte alle emergenze quotidiane”. Negli ultimi mesi è sempre più presente il problema della crisi abitativa: “abbiamo alunni a rischio sfratto e ovviamente questo si ripercuote sul loro percorso scolastico. È successo che fossero i docenti stessi ad attivarsi e a cercare supporto agli sportelli”.
La scuola “dimensionata”
Poi c’è l’impatto degli accorpamenti per effetto del calo demografico. A giugno 2025 è stata approvata la prima proposta della Regione Piemonte per il piano di “dimensionamento” della rete scolastica. Prevedeva per l’area piemontese una serie di accorpamenti – in tutto 15 istituti in Piemonte, di cui 7 nella provincia di Torino – con l’obiettivo di razionalizzare le risorse, ridurre il numero di autonomie scolastiche e diminuire dirigenti e personale amministrativo. Dopo proteste di docenti, sindacati e comunità scolastiche, che denunciavano un’operazione fatta dal basso senza reale confronto, la Città metropolitana di Torino aveva annunciato che per l’anno scolastico 2026‑2027 non avrebbe proposto alcun accorpamento non condiviso.
La Regione ha comunque nominato una commissione che ha stabilito gli istituti da accorpare e la delibera è stata approvata a novembre. Ora mancano solo alcuni passaggi formali. La necessità per il Piemonte è adattare la rete scolastica al calo demografico e agli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Gli insegnanti, però, continuano a manifestare il loro dissenso. Mariateresa Serranò e Daniele de Luca, dell’istituto professionale Steiner, fanno parte della rete contro il dimensionamento. “La nostra non è la preoccupazione di chi vuole conservare tutto – chiarisce Serranò -, non pensiamo che la scuola e l’integrazione non debbano essere modificate. Pensiamo, però, che accorpare più istituti possa portare a una peggiore gestione del problema integrazione”.
Gli accorpamenti non riguardano solo scuole secondarie di secondo grado. L’istituto comprensivo Pier Giorgio Frassati dovrebbe essere unito alla direzione didattica Allievo. “Ovviamente ci sarà un taglio del personale – commenta Barbara Castro – e questo è un problema per chi perde il lavoro, ma anche per i bambini. Non possiamo garantire loro la continuità che meritano: specialmente alla scuola dell’infanzia e alla primaria il rapporto con l’insegnante è fondamentale e basato sulla fiducia”. La riduzione del personale nella scuola di ogni ordine e grado significa un supporto minore agli studenti, anche nelle situazioni in cui ne servirebbe di più.
Le altre scuole coinvolte dai dimensionamenti sono l’istituto comprensivo Collodi con il Calamandrei, il superiore enogastronomico Beccari con lo Steiner e il superiore Galilei Ferrari diviso tra il Majorana di Torino e il Giolitti. Fuori dalla territorio cittadino, sono previsti altri tre accorpamenti nel Torinese: a Leinì l’istituto Anna Frank con il comprensivo Leinì, a Chivasso e Caluso la scuola superiore Ubertini con il liceo Newton, e l’istituto comprensivo di Airasca in fusione con il Pinerolo III e IV. In totale gli accorpamenti in Piemonte dovrebbero essere sette, consentendo di raggiungere il limite delle 515 autonomie scolastiche in tutta la Regione.
Nella mappa sono indicati gli istituti di cui è previsto l’accorpamento, con lo stesso colore. Sono indicate solo le sedi centrali degli Istituti comprensivi.
Nonostante tagli e accorpamenti si può ancora fare integrazione? A questa domanda, Andrea Alario – insegnante della scuola media Gabelli – risponde con sicurezza. “Sì, anche perché o si fa, o si fa”. Non esiste una seconda via: serve più tempo, più fondi e competenze. Nel frattempo, nelle scuole torinesi si continua ad accogliere e a includere con gli strumenti a disposizione. “Abbiamo delle eccellenze e l’emergenza non ci distoglie dall’insegnamento”, dice Antonio Tallarico, dalla Bobbio Novaro. “Vogliamo educare attraverso la didattica: guardiamo al futuro dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze come cittadini e come persone”.