La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Ucraina, la complessità di una guerra globale

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Il ruolo dell’informazione nella complessità del conflitto è stato al centro del convegno “Ucraina 2023. Un anno di guerra” di venerdì 10 marzo. Organizzato dal Dipartimento Culture Politica e Società con il Master in Giornalismo “Giorgio Bocca”, ha visto intervenire diversi esperti del conflitto in merito alle modalità con cui viene raccontata la guerra russo-ucraina.

“La resilienza degli ucraini è stata rafforzata da quelle dell’Europa” secondo Nona Mikhelidze, politologa e ricercatrice presso l’Istituto affari internazionali. La parola chiave di questo anno, secondo Mikhelidze, è proprio resilienza: degli ucraini, dei georgiani, dei moldavi, ma anche degli europei. Perché se prima l’Europa veniva criticata per la mancanza di diplomazia, con questa guerra qualcosa è cambiato. Mikhelidze sottolinea l’errore di Vladimir Putin nel pensare che sarebbe stata una guerra-lampo: il Cremlino non ha capito che in Ucraina negli anni si è formata una nazione civica. Oggi il paese si è ritrovato.

Anche Stefano Ruzza, docente di Scienza Politica presso l’Università di Torino, sostiene che la Russia ha commesso degli sbagli nella preparazione della guerra: solo nei primi mesi ha avuto un certo spazio di manovra. “La macchina logistica – secondo il professore – è il tallone d’Achille russo: non si improvvisa dall’oggi al domani”. Ruzza è sicuro: l’offensiva russa è già culminata. Se dovessero conquistare Bakhmut ci sarebbe un avanzamento, ma limitato. E a quel punto partirà la controffensiva ucraina. Anche sul fronte comunicativo la tenuta della città rafforza il fronte ucraino a discapito del Cremlino. Se la linea del fronte dovesse spostarsi indietro rispetto a dove si trovava il 24 febbraio 2022, Putin forse non sarà più in grado di tenere in mano le redini del conflitto e della sua comunicazione.

Mara Morini, giornalista di Domani, non crede che le fibrillazioni interne al Cremlino abbiano indebolito Putin. Ancora saldamente al potere, entro dicembre deve sciogliere la riserva sulla sua eventuale ricandidatura. Il conflitto difficilmente terminerà entro fine anno, perciò Putin potrebbe ricandidarsi per poi lasciare l’incarico a guerra finita: alle tensioni interne al governo si aggiungono quelle legate alle dinamiche elettorali. All’interno dell’opinione pubblica russa, continua Morini, c’è una frattura tra giovani e anziani. La narrazione favorisce la diffusione di un sentimento anti-occidentale, ma l’appoggio all’invasione russa va oltre l’essere pro o contro Putin. Dopo un anno si è passato da una guerra preventiva a una esistenziale, a difesa dell’identità russa dalle speculazioni dell’Occidente. Una guerra diventata globale per via delle ripercussioni che si sono susseguite in diverse parti del mondo. “Putin non è un pazzo, ha atteso determinate circostanze favorevoli per far deflagrare il conflitto in virtù di un più ampio discorso di riassetto degli equilibri internazionali in funzione anti-americana”, spiega la giornalista. È una lotta per il potere. Morini sottolinea inoltre l’aspetto temporale del conflitto. È una guerra di logoramento che perdurerà a lungo, anche perché le sanzioni impiegano anni prima di produrre effetti. Questo è chiaro osservando la percezione dell’opinione pubblica: i cittadini credono ancora che l’aumento dei prezzi sia uno strascico della pandemia. Il cambio di regime, poi, non arriverà nel breve periodo: le sanzioni non hanno funzionato in questo senso. Secondo la giornalista, serve che la prossima classe politica Ue sia in grado di affrontare razionalmente la situazione. “Stanno morendo delle persone, quindi forse è il caso di cambiare strategia”, chiude Morini.

Il convegno “Ucraina 2023. Un anno di guerra” del 10 marzo

La giornalista Antonella Scott (Il Sole24Ore) racconta come sia cambiato tutto il 24 febbraio 2022: quel giorno è terminato l’esperimento liberale del Paese iniziato 31 anni prima, nell’agosto 1991. A inizio presidenza, Putin aveva intrattenuto diversi colloqui con gli Stati Uniti per raggiungere un accordo sull’esportazione di gas e petrolio. Mentre negli anni 90 la Russia si avvicinava a noi, ora si allontana sempre di più. Per Scott è stato difficile cercare di capire e avvicinarsi al popolo russo “nel momento in cui l’altro nega la realtà”. È stato complicato anche tenere conto di tutte le fonti e districarsi in mezzo a un diluvio di sollecitazioni, che potrebbero non essere autentiche. “Un’altra cosa pesante è gestire le persone, farsi carico della disperazione”. Ma è fondamentale esserci. Anche Scott sostiene che in Russia non ci sia una posizione unica rispetto alla guerra: il dissenso è molto più diffuso di quanto crediamo, ma non si può esprimere. All’inizio del conflitto era più semplice ottenere informazioni complete, ma questa situazione sta peggiorando. Scott spiega che spesso, volendo vedere la Russia indebolita, i giornalisti sostengono che sia quella la realtà. Ma stiamo parlando di un paese che ha il doppio in valore di ricchezze rispetto agli Usa. Un paese che certamente non va in ginocchio nel giro di pochi mesi. “Dobbiamo cercare di guardare tutto l’insieme, anche in una situazione così drammatica e ideologica”. Secondo la giornalista, dobbiamo farlo anche per i russi, evitando di isolarli in blocco. Tenendo a mente il dopoguerra, la Russia che sarà.

Alberto Masoero, docente del Dipartimento di Studi storici a Torino, sottolinea che “questa guerra è iniziata nel 2005, non un anno fa”. Prima del conflitto vero e proprio è avvenuta la costruzione mentale di certe idee che sono poi diventate realtà: “Che l’Ucraina non esiste Putin l’aveva già detto nel 2008”, ricorda il professore. C’è un elemento utopico nelle dichiarazioni del numero uno del Cremlino: la fine dell’Urss è vista come la peggior catastrofe del XXI secolo. Si nota un rifiuto nell’accettare la Federazione Russa come Stato insieme ad altri Stati indipendenti. È un rifiuto che, partito dai circoli, man mano si è esteso a una buona fetta della popolazione. L’idea è che la Russia sia una potenza mondiale perché è nel suo Dna, altrimenti non si sente Paese: non esiste via di mezzo. È per questo motivo che, secondo Masoero, la classe dirigente putiniana si sente in guerra dal 2007: una guerra in cui tutti gli strumenti sono validi per imporre la propria potenza. E l’Europa già da tempo è vista solo come un campo di battaglia per affermare questa potenza.

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