Social Innovation Monitor è una locomotiva che corre in direzione futuro, con un comandante che la guida da Torino. Il team di ricercatori delle diverse università italiane, coordinato da Paolo Landoni, docente al Politecnico di Torino, ha sviluppato un report sugli incubatori e acceleratori italiani, sia nel settore pubblico – per cui il capitale è detenuto in via maggioritaria da enti e università – sia in quello privato.
Martedì 15 giugno, in un evento in streaming, l’equipe di esperti ha presentato i numeri e delineato le strategie per il futuro di un settore sempre più centrale nel sistema italiano.
L’analisi è stata incentrata dapprima sulla mappatura di incubatori e acceleratori nel nostro Paese, e poi sull’analisi della natura giuridica e delle tipologie di questi strumenti. Lo studio ha permesso di offrire una panoramica dei servizi che incubatori e acceleratori offrono alle startup incubate, delineando infine la ripartizione geografica, i settori, i fatturati e gli altri rilevatori sulle startup italiane incubate.
Il campione degli incubatori analizzati nello studio – come presentato nel report da Fabrizio Core e Giuliano Sansone, vice-direttori della ricerca – è stato di 85 sui 212 (il 40%) presenti sul territorio nazionale, molti dei quali in Italia settentrionale (il 57%). La regione con il numero più alto di incubatori è la Lombardia (55, oltre un quarto del totale), seguita da Emilia Romagna (27) e Lazio (19). Il Piemonte è al quarto posto, con 16 incubatori, al pari della Toscana. Sul numero totale degli incubatori – 212, in crescita dell’8% rispetto al 2019 – incidono anche i 27 universitari, e i 17 incubatori corporate. Il periodo di espansione degli incubatori è quello successivo al 2013: da allora, il numero è cresciuto del 57%. In media, gli incubatori italiani fatturano 1,76 milioni di euro, dato che risente anche della presenza di un piccolo numero di acceleratori di grandi dimensioni.
Dopo la presentazione del report, la tavola rotonda a cui hanno partecipato Barbara Colombo di PniCube, Fabrizio Conicella di InnovUp e il vice-sindaco di Torino Marco Pironti ha analizzato le prospettive future del settore.
“Negli incubatori ci sono esperienze e imprese – ha detto Conicella -. Negli Stati Uniti riescono a seguire l’impresa nel processo di sviluppo, aprendo nuovi mercati. Gli incubatori pubblici hanno poche risorse e sono ricompresi nel corpus normativo che regola, tra le altre cose, anche le partecipate pubbliche. Una situazione che rende estremamente complessa la sopravvivenza e la partecipazione degli incubatori delle startup, e che dovrà essere rivista”.
Dall’aspetto legale a quello cittadino, a Torino si lavorerà per mettere in condizione chi è capace di mettersi in gioco. “La macchina comunale ha tante difficoltà – ha aggiunto Pironti, vice di Appendino per i sistemi di innovazione, Smart City e Ict – . Il rischio è che le città abbiano ambizione di creare innovazione, anche se la pubblica amministrazione non ha risorse, tempi e competenze. La città può creare le condizioni migliori affinché chi è bravo possa agire senza sprecare risorse, visto anche il grado di rischio e la possibilità di fare trade off fra costi e benefici. Servirà ricreare un ambiente ideale affinché l’innovazione possa essere testata nell’intera catena del lavoro. A Torino abbiamo fortuna di avere due incubatori con competenze diversificate. In questi anni abbiamo cercato di attrarre esperienze di accelerazione: ad esempio Techstars, acceleratore mondiale. È il momento per avere coraggio di riconoscere quello che sappiamo fare, e lasciare agli altri fare quello che sanno fare. Quel coraggio oggi è necessario per evitare di impantanarci. Abbiamo chiesto a Techstars di aiutarci a fare un percorso per traghettare la città storica dell’auto a riscrivere il proprio ruolo nella mobilità. È questo il ruolo che una città deve aspettarsi nella catena del valore e dell’incubazione”.
Attori importanti nel processo di accelerazione e incubazione saranno anche le università, soprattutto nell’attività di scouting tecnologico e formazione: “L’università si configura come attore fondamentale per conoscenze e innovazione, e in tutte l’attività che rientrano nella terza missione, di valorizzazione e innovazione generata. Gli strumenti che abbiamo riguardano, come punto di partenza, la tutela della proprietà intellettuale. Per far questo le università dovranno svolgere progetti di scouting tecnologico, che è una pratica conosciuta a livello aziendale, e di formazione. Per ogni gruppo di ricerca dovrebbe esserci una figura preparata in grado di valutare la bontà della propria soluzione e trasportarla nel mondo dell’impresa. I due progetti sono ambiziosi e andrebbero a colmare il gap che c’è in Italia a livello economico e culturale. Il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza ha tracciato le linee guida per il futuro con la creazione di un ecosistema con imprese, università e finanza. Non si possono più considerare le startup fuori dall’economia reale”.