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Il voto per l’Europa e gli shock degli ultimi cinque anni

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Cos’è successo nell’ultima legislatura, cosa potrà succedere con il voto e perché è importante usarlo alle prossime elezioni europee? Siamo effettivamente pronti a votare per il Parlamento Europeo l’8 e il 9 giugno? Queste le domande che si sono poste Elena Grech (vicedirettrice Rappresentanza della Commissione Europea a Roma), Valeria Fiore (responsabile comunicazione Parlamento Europeo di Roma) e Lorenzo Pregliasco (cofondatore e direttore di YouTrend) e Carolina Sardelli (Tgcom24).

Tempo di bilanci

La riflessione parte dalle ultime elezioni del 2019, quando – spiega Sardelli – “forse non ci si rendeva conto di quanto l’Europa si sarebbe trovata ad affrontare nei cinque anni successivi: la pandemia, la guerra in Ucraina, il risvegliarsi delle fortissime tensioni in Medio-Oriente, la crescita dell’inflazione. Se cinque anni fa ci si chiedeva ‘ha senso l’Unione Europa?’ – continua quindi la giornalista – quello che oggi dobbiamo domandarci è: cosa deve fare l’Unione Europea per sfruttare al meglio la sua unità, la sua integrità, la sua forza e la sua potenza? In virtù di cosa, a prescindere dal nome su cui ciascuno di noi metterà la propria X, bisogna scommettere sull’Unione Europea?”.

Sulla stessa linea Grech: “Ogni cinque anni è importante ‘fare un po’ di stop-taking‘, fondamentale per capire cosa è stato fatto dal 2019 ad oggi e dove si vuole andare nel prossimo quinquennio” . Secondo la vicedirettrice della Rappresentanza della Commissione europea a Roma, gli ultimi cinque anni hanno rappresentato “un mandato un po’ a sorpresa”: “Al momento della nomina a presidente di Ursula von der Leyen, la Commissione ha presentato un programma di lavoro. Sei mesi dopo, però, è arrivato il Covid e tutto è stato rimesso in gioco”. Del resto, continua Grech, sarebbe stata proprio questa contingenza ad aver reso Ursula von der Leyen così identificabile sia dentro sia fuori l’Ue: “Ha dato una svolta. Come sappiamo, infatti, in prima battuta l’Italia è stata uno dei Paesi più colpiti dal Covid e gli altri Stati membri avevano chiuso i confini. Dopo lo choc iniziale, però, si è iniziato a reagire, consapevoli del fatto che quella non fosse ‘Unione’. Abbiamo quindi aperto le frontiere per i pazienti e abbiamo unito le forze per comprare le mascherine e il necessario per proteggere medici, infermieri e cittadini. Dopodiché abbiamo iniziato a parlare di vaccinazione, per la quale l’Europa è stata davvero pioniera. Senza l’Ue, infatti, dubito che saremmo giunti a far arrivare i vaccini non solo tra i 27 Paesi, ma anche al di fuori di questi. Perché, vivendo in un mondo globalizzato, finché non guarisce l’ultima persona non possiamo dirci guariti. Così, la popolarità dell’Unione Europea è salita tantissimo”.

Del resto, la stessa Sardelli sottolinea che, in quel particolare frangente, “forse per la prima volta ci si è resi conto di cosa è in grado di fare l’Europa, l’unità. Si è vista la concretezza di avere un organismo che si muove congiuntamente e che permette di far dialogare i leader di tutti gli Stati membri”. Tuttavia, “da lì ad oggi è passato un po’ tempo e purtroppo l’umano tende a dimenticare – prosegue Grech -, anche se ci sono state altre occasioni in cui la forza dell’Unione ha aiutato”. Tra queste, il Piano Next Generation Eu: “Per la prima volta, l’Ue si è messa sul mercato finanziario per farsi prestare dei soldi a nome dei 27 Paesi e aiutarli nella ripresa dopo la crisi generata dalla pandemia – spiega la vicedirettrice Rappresentanza della Commissione Europea -. Gli Stati membri ne stanno ancora beneficando e specialmente l’Italia, che ha a disposizione 210 miliardi e ha già ricevuto più del 50% delle risorse allocate. Per questo motivo, è soprattutto negli interessi delle nuove generazioni che andranno a votare capire che cosa sta facendo il Piano per salvaguardare il loro futuro”. Anche Valeria Fiore pone l’accento sui ‘grandi shock’ dell’ultimo cinquennio. Alle sfide poste dal Covid si sono infatti sommate, tra le altre, “la guerra in Ucraina, quando per la prima volta sia il Parlamento sia il Consiglio degli Stati membri ha preso una decisione collettiva, e la questione Green Deal. Il Parlamento europeo è infatti una fucina di emozioni che vengono dai cittadini, nonché il filtro democratico e l’istituzione che per prima avverte la pressione democratica sui vari temi”.

Le previsioni

Se al momento la “maggioranza Ursula” è composta da popolari, socialisti e liberali, le previsioni sul futuro non possono che muoversi sul piano dell’astratto. Anche perché, aggiunge Sardelli, “al momento l’Italia ha una maggioranza di governo che non rappresenta la maggioranza all’interno delle istituzioni europee”.

Ad ogni modo, spiega Pregliasco, “se le tendenze attualmente fotografate rimarranno invariate, non peseranno mai così poco come questa volta i gruppi dei popolari e socialisti. Secondo le stime, infatti, questi potrebbero avere poco più del 40% dei seggi del Parlamento europeo, mentre prima del 2019 avevano la maggioranza assoluta. Inoltre – continua -, è molto probabile che cresceranno in termini di eletti, e quindi di peso a Bruxelles e Strasburgo, i gruppi che stanno a destra rispetto al Partito Popolare Europeo. Vale a dire il Partito dei conservatori e dei riformisti (Ecr) e Identità Democrazia (Id), nel quale c’è per esempio la Lega”.

Oltre a questo scenario, però, secondo Pregliasco ci sarà anche un “impatto indiretto”. “Un Parlamento in cui i gruppi di destra hanno più peso è, in qualche misura, un Parlamento in cui anche gli altri gruppi saranno un po’ condizionati da questo – spiega -. Verosimilmente, questi avvertiranno una pressione politico-democratica dall’ala destra, che in queste proporzioni è inedita e che produrrà dei possibili effetti su temi come l’ambiente, la migrazione o la difesa. Tutte questioni sulle quali forse si vedrà un asse politico-decisionale diverso da quello degli ultimi anni”. D’altro canto, aggiunge, “il meccanismo elettorale europeo è interessante perché è la somma di tante elezioni svolte nei Paesi membri, per cui le dinamiche macroscopiche di cui si parla – tra cui l’aumento dei seggi della destra e il calo di quelli previsti per i Verdi – si legano anche a dinamiche nazionali. Prevedendo in molti Paesi tendenze anche diverse, va da sé che l’effetto aggregato sarà quello che vedremo il 9 giugno”.

Il sondaggio Eurobarometro

Solo pochi giorni fa, i risultati del sondaggio Eurobarometro del Parlamento europeo hanno mostrato una forte consapevolezza dei cittadini dell’Ue sull’importanza delle elezioni nell’attuale contesto geopolitico. Il 60% dei cittadini europei dichiara di essere interessato a votare alle prossime elezioni europee, mentre il 71% afferma che è probabile che vada a votare. Più di otto europei su dieci (81%) ritengono infatti che votare sia ancora più importante data l’attuale situazione geopolitica. Da questo punto di vista, i risultati nazionali sono simili: il 59% degli italiani è interessato alle prossime elezioni e il 70% afferma che a votare alle elezioni se queste dovessero tenersi la prossima settimana. Del resto, aggiunge Fiore, “è importante sottolineare che, nelle scorse elezioni europee, la percentuale di giovani al voto (47%) è quasi raddoppiata rispetto al 2014. La speranza sarebbe adesso quella di superare la fatidica soglia del 50%”. Dal punto di vista dei temi, invece, i cittadini europei vorrebbero che la lotta alla povertà e all’esclusione sociale (33%) e il sostegno alla sanità pubblica (32%) costituissero i principali filoni di discussione durante la campagna elettorale. Il sostegno all’economia e alla creazione di nuovi posti di lavoro, nonché la difesa e la sicurezza dell’Ue sono entrambi al terzo posto (31%).

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