“Il teatro trasposto in pillole non mi piace. Non potrà mai sostituire quello dal vivo”. Alla tendenza alla “digitalizzazione” dei teatri e degli spettacoli, che dura ormai da giorni, c’è anche chi dice no. C’è chi vive questa quarantena forzata in cui i più tentano il passaggio al digitale, con la consapevolezza che le piattaforme online non sono il mezzo adatto per riprodurre spettacoli teatrali. “Piuttosto, forse, meglio i radiodrammi”. È l’attore-regista Valter Malosti, direttore per circa trent’anni del teatro di Dioniso. Dal 2010 al 2017 a capo della scuola per attori dello Stabile di Torino, fondata da Ronconi. Dal 2018 invece alla guida del Teatro Piemonte Europa, uno di quelli nazionali, di “rilevante interesse culturale”: tra le sue più recenti creazioni, Il Misantropo di Molière e Se questo è un uomo, con tutto il progetto dedicato a Primo Levi. Più il ritorno in scena del Berretto a sonagli di Pirandello: era dicembre sembra una vita fa.
Molti teatri propongono brevi clip video con estratti di spettacoli. Che cosa ne pensa?
“Non sono molto favorevole. È una soluzione che può servire in questo momento per non perdere i contatti con il pubblico, ma è la sua unica utilità. Si possono inventare nuove forme di interazioni del teatro, ma devono però essere pensate apposta per le piattaforme online. Tutto andrebbe in quel caso riscritto e riformulato. Mi provoca tristezza vedere le pillole video di spettacoli teatrali sul web. Trovo che sia più interessante invece la radio, più consona con il periodo, un mezzo legato all’ascolto e quindi maggiormente vicino al mondo del teatro”.
A proposito di radio, nella pausa forzata in corso, lei offre al pubblico del teatro Astra dei podcast via whatsapp o email. Perché lo streaming no, ma i podcast sì?
“È un linguaggio che non può essere sostitutivo del teatro. Ma è la radio, un mezzo che gli si accosta di più come forma d’arte. È come mettere un pesce in un acquario, è il suo habitat. Ho pensato di recuperare negli archivi rai tre radiodrammi di mia produzione che altrimenti sarebbero andati persi. Si tratta di Le amare lacrime di Petra Von Kant di Fassbinder, La governante di Brancati e M. Butterfly di Hwang. Sono tre originali radiofonici, forse gli ultimi mai fatti, registrati tra il 2005 e il 2008. È una trilogia interessante che però non ha nessuna pretesa, è un po’ un palliativo. Mi sembrava bello però regalare al pubblico brani che raramente si portano a teatro”.
Come sta vivendo l’attuale inatteso periodo di “stand by” del teatro?
“In una situazione così il teatro è come se scomparisse. Da sempre si caratterizza per essere l’incontro tra persone che in uno stesso momento pensano, si emozionano. Ora il teatro è fermo. Ed è proprio adesso che ci si rende conto che l’arte, che talvolta sembra un elemento inutile, serve invece a nutrirci, perché non basta la quotidianità, altrimenti impazziremmo. La chiusura dei teatri non è solo un problema economico, ma anche umano. Per molti spettatori è una forma di compagnia oltre che di accrescimento culturale. La loro riapertura non sarà indolore. Le persone all’inizio stenteranno a ritrovarsi”.
Come pensa che il mondo della cultura e in particolare del teatro potrà uscire dalla crisi? Tornerà tutto come prima?
“Io credo che riusciremo a superare le difficoltà. Sono un ottimista di natura. È ancora presto per dire cosa succederà dopo. Penso che si tornerà con più voglia, più partecipazione di prima a cercare di stare insieme. Di certo non sarà facile. Il mondo della cultura dovrà cambiare. Noi artisti dovremo presentarci al Paese con un’identità più chiara. Forse non siamo stati abbastanza bravi nel far comprendere quanto questo valore immateriale sia fondamentale per la nostra esistenza. Ma anche quanto il nostro sia un vero mestiere”.
Articolo tratto dal Magazine Futura uscito il 1 aprile 2020. Leggi il Pdf cliccando qui