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Il Museo Egizio di Greco tra la pandemia e il futuro da reinventare

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Non basterà il conteggio delle vittime per capire come il Covid abbia davvero ferito la società italiana. Cultura, economia, istruzione, sono numerosi gli ambiti che sono stati infettati dal virus e oggi ne pagano le conseguenze.

“Questi mesi di chiusura sono stati occasione di una riflessione su quello che debba essere il ruolo del museo. Riflettere significa anche soffermarsi su quello che si faceva prima, vedere se forse il modello aveva delle lacune e cercare di svilupparne uno nuovo”. Christian Greco è il direttore del Museo Egizio di Torino. Greco è uno studioso, un intellettuale e per certi versi un manager che non ha voluto solo risolvere i problemi con gli stop and go della sua struttura, ma che ha voluto anche alzare lo sguardo e riflettere sul suo ruolo e quello della struttura che dirige.

L’avvento del Covid-19 ha imposto misure restrittive per tutti noi e molti settori economici sono stati duramente colpiti. Tra questi uno dei più danneggiati è stato proprio il mondo della cultura. Il Museo Egizio rappresenta un’eccellenza e un modello nel nostro Paese, trattandosi della più grande collezione di reperti legati all’antico Egitto al mondo dopo quella del Cairo.

Questo magnifico avvenire che abbiamo alle spalle, diventi parte essenziale del curriculum scolastico dei nostri studenti

Christian Greco, egittologo, 45 anni, direttore del Museo Egizio di Torino. A un anno dall’inizio della pandemia i musei e tutto il mondo della cultura in Italia versano in una condizione difficile. Come avete affrontato l’emergenza? Ci sono stati degli eventi derivati dall’emergenza che hanno in qualche modo contribuito allo sviluppo della vostra attività?

“È stato ed è un anno estremamente difficile. Il 4 febbraio 2020 siamo stati chiusi la prima volta, poi di nuovo l’8 marzo. Abbiamo riaperto il 2 giugno e poi dal 6 novembre, per 98 giorni, siamo stati chiusi, fino al 1° febbraio. Significa il periodo di chiusura più lungo dal secondo conflitto mondiale. Un’interruzione di erogazione di quello che il ministro Franceschini ha definito: ‘il servizio pubblico essenziale’. Nei primi mesi del lockdown a marzo scorso, quando ancora eravamo tutti disorientati spaventati, non sapevamo cosa stesse succedendo. Si poteva ancora andare in museo grazie a un codice Ateco. La città era piombata nel silenzio e ci siamo subito fissati delle priorità: la prima era che, nonostante la vita produttiva e sociale di tutti noi fosse stata interrotta, un dovere essenziale dei musei è quello di continuare a prendersi cura dei reperti. Possiamo dire che, se il servizio al pubblico era fermo, la cura dei reperti ha continuato e fin da subito abbiamo capito come in quei mesi si dovesse approfittare per mettere ancora di più al centro la conoscenza, la ricerca e la diagnostica. Ci siamo subito interrogati su come raggiungere i nostri visitatori. Ci scrivevano che erano tristi del fatto che non si potesse venire al museo. Abbiamo cercato quindi di tradurre dei contenuti fisici in modo digitale. Uno su tutti: ‘le passeggiate del direttore’, che io svolgo dopo la chiusura del museo per 30 persone una volta al mese, si sono quindi tradotte in queste passeggiate digitali che hanno raggiunto un bacino d’utenza molto più ampio, più di un milione di persone. Finalmente siamo arrivati all’apertura e al 2 giugno, in piena sicurezza, che ha visto una grandissima riduzione dei numeri. A novembre di nuovo la chiusura per arrivare poi ad aprire il museo il 1° febbraio. In questi mesi ci sono state anche le leggi finanziare che ci hanno coinvolto, ma solo in parte. Noi non siamo museo statale, ci prendiamo cura di una collezione che appartiene allo Stato italiano, ma siamo una fondazione di diritto privato. La fondazione si è gestita negli ultimi anni grazie agli introiti del servizio al pubblico, abilitazione didattica, bookshop. La pandemia ha posto un freno pesante al nostro modello economico. Ha significato un taglio netto dei costi, che ha portato a tantissimi progetti cancellati”.

Dobbiamo smetterla di dare una misura quantitativa. Dobbiamo cominciare a misurare la qualità.

Alle chiusure sono seguiti inevitabili deficit di bilancio. Ciononostante avete deciso di aprire il Museo Egizio gratuitamente a tutti. Come avete preso questa decisione?

“Mi sono domandato se un modello vincente non dovesse essere quello inglese, se non potessimo arrivare anche noi a interpretare fino in fondo l’articolo IX della Costituzione, e offrire i musei a tutti. Vogliamo incentivare moltissimo la ricerca, l’innovazione e fare in modo che sia una fonte di reddito per la nostra sussistenza. Lo sappiamo tutti, ma stiamo facendo pochissimo, che i dati dicono che solo il 26% degli italiani visita i musei una volta all’anno. Su questo dobbiamo intervenire. Noi vogliamo che i musei diventino la spina dorsale di questo paese, che la cultura non venga più sentita come accessoria, che non venga più considerata come un possibile volano economico per i turisti stranieri. Vogliamo che rappresenti una parte vitale di noi stessi. Dobbiamo cambiare paradigma, diventare più osmotici con le scuole, i centri di ricerca, le università. Dobbiamo fare la didattica all’interno dei musei, ma non più nell’ottica di una gita una tantum. Vogliamo che questa enciclopedia materiale del passato, questo magnifico avvenire che abbiamo alle spalle, diventi parte essenziale del curriculum scolastico dei nostri studenti. Vogliamo che si venga al Museo Egizio per studiare la geometria euclidea, la storia dell’innovazione della tecnologia, l’introduzione della fotografia e la sua innovazione per la conoscenza, per capire l’interazione tra materiale e immateriale. Se cambiamo il paradigma, il valore aggiunto del museo dovrebbe essere quello che noi sappiamo offrire, più che l’apertura semplice delle cose. Mi piacerebbe che riuscissimo a dire: ‘le collezioni appartengono a tutti e quindi sono fruibili gratuitamente da tutti”. La proprietà intellettuale del museo è la riflessione, la metadatazione, la ricerca, che può essere fruita attraverso conferenze, visite didattiche, visite guidate, lezioni e quelle potrebbero diventare una parte centrale nella formazione. Una formazione per tutta la società. Mi piacerebbe cambiare il paradigma e fare in modo che questa pandemia non rimanga neutrale nella nostra organizzazione del lavoro. Il passaggio non potrà essere repentino, ci vuole del tempo per cercare di raggiungere uno scopo, però dopo un anno di pandemia la mia riflessione si sta orientando su questa via.”

Museo
Christian Greco, Direttore del Museo Egizio di Torino.
Fonte: Ufficio Stampa

Ha anticipato un altro tema centrale quello del valore della cultura e del rispetto dei beni culturali. Cosa dovrebbe fare l’Italia per valorizzarli? Come si portano le persone al museo?

“Io guardo il tema con molta tristezza. Nel periodo pre-pandemia ero rattristato per il modo in cui i media trattano la cultura. In genere se ne parla a Ferragosto, il primo dell’anno, per tirare le somme di com’è andata l’attività culturale dei musei. Si dà solo un numero: quanti visitatori ci sono stati. Dobbiamo smetterla di dare una misura quantitativa. Dobbiamo cominciare a misurare la qualità: i progetti di ricerca, come si coinvolge la comunità, quanto diventiamo vitali per la formazione, quali progetti innovativi facciamo. Solo se faremo questo, riusciremo anche a far capire che noi non siamo accessori, ma siamo fondamentali all’interno della società e riusciremo a rovesciare quel numero. Mi ha fatto molto riflettere come quest’estate in proposito si dicesse: ‘beh, non ci sono i turisti stranieri, quindi le nostre città sono deserte’. Non c’erano i turisti stranieri, ma c’erano gli italiani e quindi forse noi non risultiamo attrattivi, non sappiamo comunicare abbastanza. Noi non sappiamo posizionarci all’interno della società per far capire perché visitare un museo ha un valore aggiunto. Su questo dobbiamo lavorare molto”.

È importante arrivare a considerare la nostra cittadinanza come un pubblico culturale al pari dei turisti stranieri?

“Questo ce lo dice la Costituzione, quando ci dice che la Repubblica (in cui leggiamo lo Stato in tutte le sue articolazioni, quindi anche res publica, la comunità dei cittadini) ‘tutela il patrimonio culturale e la ricerca tecnico-scientifica’, perciò è in quella res publica che dobbiamo fare parte attiva della gestione dei beni culturali”.

Vogliamo che il museo rappresenti una parte vitale di noi stessi.

Un richiamo alle radici repubblicane per interpretare il modello del futuro. Lei direttore come immagina il 2021 per il museo?

“Ci sono una serie di progetti fisici che avverranno nell’edificio. A fine mese apriremo una nuova rubrica del museo: ‘Il laboratorio dello studioso’, dove, con cadenza bimestrale, metteremo al centro un oggetto, una serie di reperti, un argomento di ricerca di uno dei nostri curatori, che permetterà ai nostri visitatori di vedere l’evoluzione della ricerca e di mostrare anche il museo come istituto di ricerca. Speriamo d’estate la campagna vaccinale sia progredita e il bel tempo permetta la ripresa di una vita più normale di quanto non sia adesso. Il 2 giugno vogliamo aprire due nuove sale permanenti che si chiameranno ‘Le sale della vita’. Saranno dedicate all’evoluzione della conservazione del corpo dopo la morte, ai culti funerari, dove esporremo sei mummie con i loro corredi. Faremo vedere le applicazioni scientifiche e tecnologiche, come lo sbendamento virtuale delle mummie. Cercheremo di parlare delle loro patologie, le metteremo in relazione con dati demografici su dove sono vissute, in che periodo e com’era la vita nell’Antico Egitto in quel contesto. Questo progetto, che doveva essere lanciato l’anno scorso, verrà lanciato quest’anno. Al contempo, non stiamo perdendo di vista tutta la nostra programmazione virtuale. Continuiamo le lezioni con studiosi internazionali che presentano le loro ricerche con i curatori del Museo Egizio, che fanno vedere come il museo sia impegnato a portare avanti argomenti di ricerca e stiamo implementando il sito con nuovi dati circa la collezione. Questa integrazione fra museo fisico e virtuale continuerà. Stiamo anche lanciando una nuova modalità di visita a distanza per venire incontro alle pressanti richieste che ci arrivano dalle scuole, che in questo momento sono impossibilitate a venire di persona, ma che desiderano entrare in contatto con la civiltà egizia.”

Com’è stata accolta la riapertura? Dal punto di vista umano, come ha trovato i visitatori del museo dopo una così lunga assenza? La tipologia è cambiata rispetto al passato? Il museo riuscirà a recuperare il tempo perduto?

“La ringrazio per questa domanda perché permette di ringraziare tutti i visitatori che ci sono stati vicino seguendo le nostre attività on-line ed esprimendo sostegno attraverso i social. Ci sono stati vicino anche quando abbiamo riaperto. È stato bellissimo riaprire. Significa festeggiare, tornare alla normalità. Lo volevamo fare con la città di Torino e con i piemontesi, che per ora, dato il blocco di circolazione interregionale, sono gli unici che possono venire al museo. I posti sono pochi, eravamo soliti arrivare anche a 10 mila visitatori al giorno, mentre adesso possiamo fare 6500 visitatori in una settimana a causa del contingentamento. Ciononostante, il regalo che ci ha fatto la cittadinanza è stato meraviglioso, perché abbiamo messo a disposizione i nostri biglietti gratuiti e sono andati esauriti subito. Questo dimostra l’affetto delle persone e la voglia di tornare. Mi ricordo che la prima persona che ha varcato il portone era una signora che ci ha detto: ‘ho messo la sveglia alle 6 del mattino per riuscire a prenotare il biglietto’. Sono aumentati moltissimo i giovani e questo mi riempie di gioia. In queste due settimane sono stato spesso nelle gallerie e mi sono intrattenuto con i visitatori. Ho visto che c’erano tantissime famiglie, ragazzi giovani, universitari. Mi hanno confidato di essere lieti di poter finalmente fare qualcosa in presenza. In una vita molto rallentata, in cui ormai esiste quasi solo il contatto digitale, erano davvero felici di tornare nelle sale museali e interagire con gli oggetti. Devo dire che l’età anagrafica si sta abbassando ed è una cosa meravigliosa che i torinesi e piemontesi ricomincino a frequentare il tessuto culturale della loro città. Spesso il museo veniva visto come inaccessibile, con le lunghe file dei turisti da fuori e quindi era quasi un’attrazione turistica un po’ svincolata dalla città. Adesso invece è tutto della città, per i torinesi e i piemontesi, perché se lo possano godere. Loro stanno rispondendo al nostro appello e stanno tornando nelle nostre sale”.