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“Il Lovers Film Festival resiste”. Intervista alla direttrice Vladimir Luxuria

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Il Lovers Film Festival è nato perché i suoi fondatori, Giovanni Minerba e Ottavio Mai, non si sentivano rappresentati dai film che andavano a vedere al cinema e, con loro, tutta la comunità Lgbtq. Nel tempo è diventato sempre più grande, raccogliendo anno dopo anno sempre più spettatori. Quest’anno, sarebbe stata la 35esima edizione, ma l’emergenza sanitaria ha fermato anche il LoversFF. Dal 30 aprile al 4 maggio, quindi, il cinema Massimo di Torino non ha visto la consueta folla di appassionati affollarsi in Via Verdi. Tuttavia, il Lovers non si è fermato e si è spostato online, proponendo una rassegna di film, documentari e cortometraggi gratuiti e visibili da tutti.

Vladimir Luxuria, per il primo anno direttrice artistica del festival, si è detta molto soddisfatta di questo esperimento.

Come è andato il Lovers Online?

Oltre le mie aspettative. Abbiamo scelto di mantenere le date in cui si sarebbe dovuto svolgere il festival se non ci fosse stata questa situazione, facendo una versione online che abbiamo sintetizzato con l’hashtag #cimanteniamoinlinea per dimostrare che noi ci siamo e resistiamo e che la cultura e lo spettacolo  sono vivi e fervidi anche se ancora in fase uno, perché sono tra i settori più penalizzati.
Le 18114 visualizzazioni che abbiamo registrato sono un segnale di grande incoraggiamento. Molte persone probabilmente non avevano mai visto i film proposti, ma secondo me c’è stato anche chi ha scelto di rivederli, proprio per dare un segnale di supporto. Questo dimostra che c’è interesse per il cinema e che la nostra comunità lgbtq desidera essere raccontata attraverso di esso.

Il Lovers è un momento molto importante per la comunità. Cosa ha significato non potersi incontrare?

Io da settembre ho lavorato con tutto il mio entusiasmo per costruire un festival bello. Era la mia prima volta, ci tenevo e avevo coinvolto molti volti noti dello spettacolo, della cultura e del cinema. Poi a fine febbraio questa doccia fredda. Inizialmente c’era la speranza di poterlo posticipare a metà giugno, poi invece è arrivata la consapevolezza: dovevamo farlo online.
È veramente una forma riduttiva, non è sostitutiva in alcun modo del festival perché il cinema è sala. Però, per noi, è stato un segnale di resistenza.

Ma l’edizione 2020 ci sarà?

Noi contiamo di farla in autunno, se possibile con l’apertura delle sale. Una versione ibrida tra online e on site, cioè presenti fisicamente. Ovviamente tutto dipende da quello che succederà, speriamo bene.
Una data precisa non l’abbiamo ancora decisa perché credo che quest’estate si delineeranno meglio sia l’andamento che le regole. Bisogna capire anche non solo quando ma come verranno riaperte le sale. Navighiamo a vista. Tanto di colpi di scena già ce ne sono stati, ora li vorrei solo vedere sullo schermo.

Come sta vivendo la quarantena?

Io sono una donna dalle mille risorse. Ho letto tantissimo, ho visto un sacco di film, fatto molte pulizie, buttato quello che non mi serviva e fatto i cambi stagione, di tutto e di più. Ovviamente ho anche lavorato tanto per organizzare le rassegne online che vorremmo fare prima dell’autunno. In occasione della giornata dell’omofobia per esempio, o del Pride. Non ho mai smesso di lavorare.

La scelta lessicale del premier Conte per indicare le persone che si sarebbero potute vedere in questa fase due ha fatto molto discutere. Congiunti infatti richiama un’idea di famiglia molto tradizionale. Lei cosa ne pensa?

In realtà nell’idea dei congiunti chiunque avesse riconosciuto legalmente la propria unione non viene discriminato, perché vi rientrano sia gli sposati che quelli uniti civilmente. Il problema è piuttosto di quelle persone che hanno scelto di stare insieme ma magari vivere in due case diverse, oppure non formalizzare il rapporto, ma anche gli amanti clandestini.

C’è poi un’altra questione, ovvero quella degli affetti stabili. Effettivamente io preferirei andare a incontrare la mia amica del cuore, la mia spalla su cui piango nei momenti di sconforto, piuttosto che un cugino che non vedo mai. È molto relativo. È difficile, quando si entra nella privacy delle persone, legiferare. Io capisco l’esigenza, ma forse ci si poteva affidare un po’ di più al senso di responsabilità civile. Credo che la maggioranza degli italiani stia dimostrando grande maturità.

Ci sono però delle questioni che riguardavano già la quotidianità e che in queste situazioni emergenziali vengono alla luce in modo molto forte. Ad esempio, il problema della stepchild adoption che non è ancora stata riconosciuta. Una mamma quindi, che non è quella biologica, può rischiare di non essere riconosciuta come congiunta della figlia della compagna.

Purtroppo in questi casi bisogna affidarsi al buon cuore degli agenti in divisa che hanno dimostrato più comprensione e disponibilità della stessa politica che, invece, su questioni come le famiglie arcobaleno è rimasta latitante.

MARTINA STEFANONI