La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Il futuro del Todays festival secondo Fabrizio Gargarone

condividi

Il fallimento del Todays festival 2025 chiude un’epoca. La decima edizione della creatura di Gianluca Gozzi – ideata nel 2015 come progetto della città di Torino – era stata assegnata alla fondazione Reverse. Flop al botteghino, il riscatto è sfumato in partenza. Il Todays 2025 non si farà: il bando pubblico per la nuova edizione non ha visto vincitori e il Comune ha aperto un tavolo di dialogo con gli operatori musicali del Torinese. Ne abbiamo parlato con Fabrizio Gargarone, presidente dell’associazione Hiroshima mon amour e direttore artistico del Flowers festival.

A posteriori, cosa ne pensa della decisione del Comune di aprire un bando pubblico per l’edizione 2024 del Todays, in contrasto con la direzione fissa di Gozzi?

Il motivo della rottura tra la Città e Gozzi per me rimane un mistero. È stato davvero strano mettere a bando un festival uguale e con lo stesso nome. Appena ho visto che aveva vinto la fondazione Reserve, l’ho contestata pubblicamente: un festival è fatto dal 30% dalle capacità di fare un cartellone e dal 70% da relazioni, capacità di creare immaginari, di muovere il cuore delle persone. Non basta un buon elenco di nomi per produrre dei paganti e i risultati deludenti del 2024 lo hanno dimostrato.

Cosa non ha funzionato nel bando per l’edizione 2025?

Il budget e le tempistiche. Visti da fuori, 540mila euro sembrano una barca di soldi, ma per il parco Dora 500mila vanno solo all’allestimento dell’area e ormai il cachet di un artista di livello parte da 100mila euro. Dopodiché, neanche un mago riuscirebbe a organizzare un festival in quattro mesi di lavoro. Oggi il tempo di mercato per trovare i grandi nomi del cartellone varia da un anno a un anno e mezzo. Il bando annuale non ha alcun senso.

Giovedì 27 marzo si è aperto il colloquio tra il Comune e le associazioni di categoria. Lei che idee ha proposto?

Io non credo che Torino abbia bisogno di più eventi musicali, perché ora l’offerta è altissima: festival, stadi, palazzetti, club e non solo. Ma se l’obiettivo è questo, dobbiamo investire in qualcosa che ha soltanto Torino. Giovedì ho fatto un esempio: scegliamo una piazza storica, la affidiamo a un nome italiano di peso, come Ludovico Einaudi, e lo affianchiamo a un artista internazionale come Thom Yorke, il frontman dei Radiohead. Sullo sfondo invitiamo a suonare l’orchestra del teatro Regio, chiediamo al museo del cinema di Torino di occuparsi del maxischermo e come palco progettiamo un igloo enorme, citando l’arte povera di Mario Merz. Per realizzare un progetto così ambizioso occorre chiamare artisti internazionali in grado di leggere la complessità di un territorio, di uno spazio, di una storia. Quando penso a un evento ex novo da fare a Torino, immagino un’opera così.

Che influenza hanno le residenze artistiche?

Un artista in tour non sa neanche dove suona: scende dall’aereo, fa uno show, sale su un altro aereo, si sveglia in un’altra città e si esibisce ancora. Puntare sulle residenze artistiche significa permettere a un artista di vivere davvero il luogo in cui suona. Solo così può restituire la sua esperienza della città al pubblico. È rarissimo, ma si può fare. Io nel 2004 sono riuscito a portare i Kraftwerk al Lingotto, perché in un’intervista avevano detto di voler suonare in un edificio a Torino con una strana bolla sul tetto. Si trattava della sfera panoramica progettata da Renzo Piano. Da lì partì un lungo carteggio con i vari manager e uscì la data. È un approccio alto, adatto a una città ambiziosa come Torino.

Altre proposte?

C’è anche la possibilità immediata di affiancare con nuove sezioni musicali le grandi iniziative della città, come Biennale democrazia, il salone del Libro e il Torino film festival. Un esempio riuscito è il Jazz is dead festival dell’Arci Torino, che ha valorizzato sensibilità già presenti sul territorio e ha rinnovato la collaborazione con il Torino jazz festival.

Domanda da un milione di dollari. Come vede la realtà dei festival torinesi tra 10 anni?

Non lo so, il mercato è veloce e imprevedibile. Tre anni fa era impensabile che il pubblico avrebbe accettato di pagare un biglietto il doppio del prezzo, in anticipo di un anno e mezzo. Invece è accaduto esattamente questo.

Articoli Correlati