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Il dramma dei profughi siriani: gli invisibili colpiti dal sisma

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Una giornata con raffiche di vento terribili, i voli cancellati e i bagagli che volavano via dai carrelli dell’imbarco. Così Arianna Martini, presidente e fondatrice di Support and Sustain Children, associazione italiana che da dieci anni opera per dare assistenza agli sfollati siriani, racconta il suo ultimo giorno in Turchia. Fino a domenica sera si trovava ad Adana, nella provincia di Kahramanmaras. Con ore di ritardo dovuto al meteo, il suo aereo è infine partito per l’Italia, ma poco dopo l’atterraggio sono giunte anche le prime notizie dal confine turco-siriano: quel vento anomalo si era tramutato in un terremoto dalla potenza devastante.

“Abbiamo subito cercato di metterci in contatto con i nostri collaboratori presenti nei due Paesi”, racconta la volontaria. “In Turchia, dove lavoriamo all’interno di un campo profughi in cui non vi è altra forma di assistenza, i nostri contatti si trovano ora in aree urbane. Stanno bene,  ma stanno facendo la conta dei morti e da quella sera dormono fuori. Ci mandano immagini di famiglie con i bambini avvolti da coperte e stretti attorno ad un fuocherello improvvisato”. 

La situazione è ancor più drammatica in Siria, dove le persone non riescono a sapere se i propri parenti sono vivi a causa delle difficoltà delle comunicazioni: “Il nostro coordinatore e interprete sta ancora cercando di mettersi in contatto con sua madre e suo fratello, che vivono nella zona di Azaz, dove noi abbiamo una clinica. Il medico ci dà notizie terrificanti. Già non c’erano infrastrutture e molti edifici erano pericolanti, ora quello che c’era è stato raso al suolo. Lui stesso ci dice che c’è bisogno di tutto“. 

Support e Sustain Children si è già attivata per far arrivare agli sfollati cibo, coperte, giubbini e medicinali, e per trasformare la clinica del campo di Bab Al Salam in punto di riferimento per tutti coloro che abbiano perso la casa o necessitino di assistenza sanitaria.

Mentre in Turchia, infatti, pur con tutte le difficoltà del caso, vi è uno stato che provvede all’organizzazione dei soccorsi, in Siria la situazione è molto più complicata. Le carenze nelle infrastrutture non agevolano gli interventi, che restano nelle mani dei volontari e procedono a rilento.

È un’emergenza nell’emergenza, quella della popolazione siriana colpita dal sisma e già stremata da più di un decennio di guerra e di sanzioni. “Sono stata in Siria l’ultima volta un mese e mezzo fa e anche in passato – continua la responsabile dei progetti di SSCh Arianna Martini -. Ciò che si vede varcando il confine è una tragedia, una tragedia umanitaria. La Siria è un’immensa distesa di rovine e campi profughi. Non c’è un’infrastruttura: ci sono bambini, uomini, donne, anziani abbandonati a loro stessi. Nei principali centri urbani, come Aleppo o Azaz, le attività stavano riprendendo, ma adesso sono state rase al suolo”. 

Il dramma dei siriani è destinato a riflettersi – o meglio, a non riflettersi –  anche nel bilancio delle vittime. “Sul confine – conclude la volontaria – migliaia di famiglie profughe non registrate vivono in scantinati e sottoscala. Tutte persone che non fanno e non faranno mai parte del numero dei dispersi o dei morti, semplicemente perché non si ha contezza della loro presenza”. Sono morti come hanno vissuto: da invisibili

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