La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Il difficile calcolo della corruzione

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Il 1992 è stato un anno di svolta nella storia recente del nostro paese. Venticinque anni fa, la parola “corruzione” balzava agli onori delle cronache diventando un termine da prima pagina. Se dal lato giuridico la definizione appare chiara, non è altrettanto facile determinare l’ampiezza quantitativa di questo fenomeno. La corruzione è un reato con una “cifra nera” molto elevata: la differenza fra il numero di reati commessi e quelli investigati dai giudici è molto alto. Questa discrepanza è dovuta a ragioni diverse: quello per corruzione è un reato a vittima diffusa, dove non si percepisce direttamente il danno, anche economico, e che viene commesso spesso in assenza di testimoni. Negli ultimi venticinque anni, sono stati fatti dei passi avanti nella lotta alla corruzione, ma la strada è ancora lunga. La recente introduzione dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC) non ha fermato un fenomeno che è ancora largamente diffuso e molto difficile da tenere sotto controllo. Anche per questa ragione, alcune organizzazioni internazionali che si occupano di calcolare il tasso di corruzione in Europa e nel Mondo, rivelano dati spesso contrastanti.

Come calcolare la corruzione: alcuni metodi

Secondo il rapporto di Transparency International sul Corruption Perception Index (CPI) del 2016, l’Italia è al terzultimo posto nella classifica europea di percezione della corruzione. Dal rapporto emerge che non esiste un Paese al mondo immune dal fenomeno. Come mostra la mappa, mentre il Nord Europa risulta tra le zone più virtuose del pianeta, il Sud, con in testa l’Italia, ha un indice molto basso (che corrisponde a un tasso di corruzione percepita molto elevato).

In generale, come mostra il grafico interattivo, il nostro Paese si posiziona tra i peggiori del blocco mediterraneo, e in posizione nettamente sfavorita rispetto alla capolista, la Danimarca, da anni la più virtuosa.

Il calcolo numerico del tasso di corruzione è  però molto difficile. Per questa ragione, Transparency International punta soltanto a stimare la percezione del fenomeno. Esistono infatti diversi metodi, classificabili in tre categorie, per accendere i riflettori sul problema: il calcolo di indici, le stime numeriche e l’analisi delle correlazioni con altri aspetti micro e macroeconomici.

Per quanto riguarda gli indici, Transparency  International si basa sulla percezione di questo fenomeno da parte di chi lavora nelle pubbliche amministrazioni, allo scopo di elaborare un indice noto in tutto il mondo. Altri studi, come quello guidato da Lucio Picci dell’Università di Bologna, propongono un indice della  corruzione nella pubblica amministrazione a partire dai casi di corruzione transazionale. Ciò che viene calcolato in questo caso è il numero “scambi corrotti” tra imprese di un Paese e funzionari pubblici di un altro.

Parlando, invece, di stime e dati numerici, secondo un report dell’OECD, la corruzione costerebbe all’Italia circa 60 miliardi all’anno. Questo dato, circolato per diverso tempo, si è ormai dimostrato essere inesatto. Secondo la Corte dei Conti italiana, nell’ultimo rapporto rilasciato, le opere pubbliche nel nostro Paese costano in media il 40% in più per via della corruzione. Ancora secondo la Corte dei Conti, nel 2015 sono state emesse 165 citazioni per illeciti legati al fenomeno corruttivo, per un totale di 66,8 milioni contestati. E ancora, secondo la Commissione Europea la corruzione è un fenomeno che interessa tutti gli Stati membri e che costa all’economia europea circa 120 miliardi di euro all’anno. Tutti questi dati sono imprecisi e in parziale contrasto tra loro e danno un’idea della difficoltà di calcolo dell’effettivo costo della corruzione per un Paese.

Esistono poi organizzazioni governative deputate al controllo del fenomeno, che più che occuparsi del calcolo della corruzione lo monitorano, proponendo metodi di contrasto. Tra questi, in Italia, c’è l’ANAC, in parte criticata per la sua difficoltà a restituire un’immagine definita dell’ampiezza del fenomeno nel nostro Paese. In un’intervista Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale, ha dichiarato: “Non capisco perché nessuno in Italia prenda le condanne per corruzione regione per regione e non le metta in correlazione con la popolazione, nemmeno l’ANAC. Avremmo stime più precise”. L’Italia è anche membro del GRECO, il Gruppo Europeo per il monitoraggio della corruzione, dal 2007. Qui si calcola il tasso di corruzione nelle amministrazioni pubbliche, corruzione che vede giudici, membri del Parlamento e Pubblici Ministeri al centro del mirino.

Tutti questi metodi portano a conclusioni indicative di un trend, ma spesso non fotografano completamente il fenomeno. In ogni caso, offrono spunti interessanti per l’analisi. Da tutto questo insieme di dati, infatti, emerge un quadro molto simile: l’Italia si attesta sempre tra i Paesi con un tasso di corruzione tra i più alti dell’Unione Europea.

Il difficile rapporto con il PIL 

Secondo l’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai CGIL il 3,6% del PIL mondiale è collegato ad attività illecite. Il fenomeno della corruzione rientra, secondo l’Osservatorio, nelle attività illecite, ma non è dato sapere, leggendo questo studio, quale sia la cifra esatta di erosione del PIL.

Altri studi, però, hanno cercato di restituire una fotografia della complessità del problema. Qualche anno fa Alfredo Del Monte, un docente di economia dell’Università di Napoli, scrisse alcuni articoli in merito alla relazione esistente tra il debito pubblico italiano e l’elevato rapporto debito-PIL. Secondo lui, la corruzione agisce sugli investimenti come un’imposta, quindi diminuendo il tasso di crescita del PIL. Ma non solo: interviene anche sulla spesa pubblica facendo aumentare il costo dei servizi e dei beni acquistati. Infine, diminuisce il tasso di crescita delle economie nazionali perché tende a far sì che in un Paese affetto da un alto tasso di corruzione si preferiscano grandi progetti (dighe, autostrade e così via) ai piccoli progetti di manutenzione quotidiana e necessaria.

Le correlazioni secondo Riparte il Futuro

Mettendo insieme tutti questi elementi è facile capire perché i dati di Transparency International siano stati contestati da diversi fronti. Secondo la Banca d’Italia, l’indice è influenzato dai media e dalla copertura dei casi di corruzione. Secondo il Fatto Quotidiano, invece, “Transparency ci colloca regolarmente agli ultimi posti in Europa, ma le sue classifiche sono contestate perché basate su opinioni e non su numeri. Però finiscono nei report di Commissione europea, World Bank, OCSE. E così condizionano gli investimenti esteri”. In base ai dati dell’Eurobarometro 2016, inoltre, la situazione italiana non è così allarmante come sembra in base ai dati di Transparency. La necessità di capire quanto costi alla collettività la corruzione resta però urgente. I dati di Transparency International sono in effetti considerabili come parziali: per restituire un’immagine più completa del fenomeno bisogna considerare altri settori dell’economia, tra cui, prima di tutto, la competitività di un Paese a livello internazionale. Fattore che può a sua volta attirare o allontanare gli investimenti stranieri.

Provare a mettere in relazione questi fattori è ciò che fa il sito di “Riparte il futuro”, campagna anti-corruzione nata dall’associazione Libera e poi diventata autonoma. Secondo gli studi di questa organizzazione, le correlazioni tra indici parlano più chiaro delle stime di dati: semplificando molto il ragionamento, si può sostenere che a un più alto livello di corruzione corrisponde meno competitività a livello internazionale, e quindi meno investimenti. Meno investimenti portano a minore crescita, e quindi il tasso di disoccupazione nazionale tende ad aumentare.

Il passaggio può sembrare in parte forzato, ma in sostanza pare funzionare: “Riparte il Futuro” forza alcune relazioni causali ma lo scopo è far comprendere qualcosa che forse è utile sapere. La corruzione, infatti, più che causare perdite dirette di capitale, è collegata alla distorsione del mercato internazionale. In particolare, sembra disincentivare gli investimenti in base alla relazione proporzionale tra un alto tasso di corruzione e una bassa competitività, come mostrano gli indici della tabella mostrata. L’Italia occupa infatti il diciottesimo posto nel Global Competitiveness Index, calcolato dal World Economic Forum per il 2016, indice che valuta l’efficienza e la produttività dei Paesi considerati su base annuale. È pur vero, però, che gli investimenti stranieri in Italia sono in aumento: nel 2016 si è registrato un discreto incremento in questo settore, anche se l’Italia è rimasta, secondo Ernst&Young, fuori dalla Top 20 dei Paesi Europei, come mostra la tabella.

 

Country

CPI 2016 (Transparency Int) IMD World Competitiveness Yearbook
Denmark 90 98
Finland 89 94
Sweden 88 86
Switzerland 86 88
Norway 85 83
Netherlands 83 89
Germany 81 85
Luxembourg 81 81
United Kingdom 81 80
Iceland 78 80
Belgium 77 79
Austria 75 74
Ireland 73 83
Estonia 70 66
France 69 73
Poland 62 60
Portugal 62 51
Slovenia 61 46
Lithuania 59 53
Spain 58 38
Latvia 57 45
Cyprus 55  X
Czech Republic 55 47
Malta 55  X
Slovakia 51 45
Croatia 49 38
Hungary 48 37
Romania 48 37
Italy 47 39
Greece 44 37
Bulgaria 41 37

 

Il ragionamento di “Riparte il Futuro” si spinge però oltre. Non è un segreto che in Italia il tasso di disoccupazione sia tra i più elevati d’Europa. Secondo i dati Istat recentemente rilasciati, nei quattro trimestri del 2016 si sono registrati tra i 2,808 e i 3,160 milioni di disoccupati in Italia. Le cifre sono ancora molto elevate, anche se si registra un lieve miglioramento rispetto agli anni precedenti. La correlazione tra disoccupazione e corruzione è però meno netta, sia nei dati di “Riparte il futuro” che nella realtà: sono molti i fattori in gioco e la corruzione non può essere considerata la causa diretta della scarsa occupazione nazionale.

Questi studi confermano ancora una volta il problema centrale del fenomeno: la sua inafferrabilità. La sua rilevanza, però, confermata da tutti gli studi, impone di cercare nuove strade per provare a calcolarne la dimensione e prendere adeguate misure di prevenzione e contrasto.

CAMILLA CUPELLI