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“Il carcere riguarda tutti, non può essere ignorato” Daria Bignardi al carcere di Torino

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“Il carcere è chiamato lo specchio sporco della società” dice Daria Bignardi – scrittrice, giornalista ed ex direttrice di Rai 3 – spiegando come dentro vi vengano messe tutte le persone considerate scomode e dannose alla società per dimenticarsene e non curarsene. Il carcere tende a isolarsi sempre più. I nuovi istituti vengono costruiti fuori dal centro urbano per tenerli fuori dalla vista della gente e rafforzare ulteriormente lo stato d’isolamento in cui si trova l’istituzione. “Ogni prigione è un’isola” è il titolo dell’ultimo libro di Daria Bignardi e una frase che riassume con chiarezza lo stato del carcere.

Tra una visita alla Casa circondariale di Torino “Lorusso e Cutugno” e una conferenza al Teatro Carignano, Biennale Democrazia ha accompagnato la scrittrice lungo un intenso pomeriggio nella giornata di venerdì 28 marzo, nel quale, ancora una volta, ha potuto seguire la sua missione di raccontare il carcere.

Perché raccontare il carcere

“Capisco chi se ne disinteressa – spiega Bignardi – un po’ perché non lo conosce, un po’ perché se ne sente parlare sempre in modo noioso e negativo. Il senso del mio libro è raccontare fuori quello che vedo dentro e le storie dei detenuti per far avvicinare le persone al carcere. È un’istituzione che riguarda tutti sia per motivi etici che pratici. Se ci si vuole soltanto vendicare nei confronti di una persone detenuta, una volta che questa torna in libertà, non sarà migliorata e non si reinserirà mai nella società. Per questo bisogna spiegare alle persone cosa vuol dire vivere in carcere, perché conoscendolo davvero non si augurerebbe mai a qualcuno di buttare via la chiave della sua cella, come spesso si sente dire”.

Dentro il “Lorusso e Cutugno”, le voci dei detenuti

Dopo un breve monologo, Bignardi lascia la parola alle persone presenti nella platea del teatro della Casa circondariale. Le persone detenute scalpitano per prendere il microfono e dire la propria, sfogarsi e raccontare la propria storia. C’è chi, a 72 anni, ha trascorso metà della propria vita dentro. Chi ha visto la sua famiglia spaccarsi dopo la sua detenzione e sopravvive solo grazie allo studio. Chi ha tentato di togliersi la vita. “Il carcere dovrebbe essere rieducativo, ma è diseducativo – racconta Pietro -. Vieni punito e mai premiato per le cose che fai. Non ti viene nemmeno voglia di andare a scuola, perché facendo così salti l’ora d’aria”.

Bignardi conclude la conferenza con un ultimo commento: “Non do la colpa a questo governo per l’immobilismo del carcere, ma agli altri da cui mi sarei aspettato una seria azione di riforma. Il carcere non porta voti, non crea consenso e non interessa. Per questo bisogna continuare a parlarne. Cosa possiamo fare riguardo i problemi del carcere? Alcuni magistrati mi hanno detto che innanzitutto bisognerebbe ricorrere a una serie di indulti per svuotare le celle, dopodiché ci si può iniziare a lavorare meglio”.

Vagli a spiegare che è primavera

“Vagli a spiegare che è primavera” è il titolo della seconda conferenza del giorno, tenutasi al Teatro Carignano. Il co-conduttore dell’evento è Edoardo Albinati, scrittore e insegnante al carcere di Rebibbia, che argomenta l’origine di quest’espressione. “Deriva dal fatto che in carcere non ci si renderebbe conto del cambio delle stagioni e di tutto quello che succede fuori. Però in realtà non è così. Il cambio delle stagioni si sente eccome: d’inverno si gela e d’estate si cuoce. C’è una percezione corporea fortissima in carcere, nonostante il teorico superamento delle pene corporali. Gli occhi deperiscono e così tutte le altre percezioni del corpo, provocando un’enorme sofferenza nei detenuti.”

“Se i detenuti stanno male, stanno male anche gli agenti – conclude Bignardi – soffrono tutti là dentro. Però c’è molta ironia e voglia di scherzare: non vogliono essere compatiti, ma ascoltati e che gli venga concesso di decidere per se stessi”.

Leggi altri articoli riguardo il tema del carcere sul sito di Futura news.

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