Le voci di Igor Boni e di Riccardo Magi diventano ulteriori testimonianze delle tragiche condizioni in cui versa il Cpr – centro di permanenza per il rimpatrio di Torino – al pari, se non peggio, degli altri centri italiani – e della tragica gestione di un sistema indirizzato più all’irregolarizzazione che all’integrazione del migrante.
Igor Boni, al termine della campagna elettorale per le primarie amministrative – per le quali è candidato con +Europa – ha scelto di concludere le sue tappe con la visita al centro, cui è potuto accedere grazie alla presenza del deputato Magi. “Avevo già visitato il Cpr nel 2012 e devo dire che i ricordi della prima visita sono del tutto simili alle cose che ho visto oggi, sia nella modalità di detenzione che nel fatto che le persone trattenute non hanno la minima cognizione di cosa potrebbe accadergli il giorno dopo.” Per una città come Torino, però – da sempre all’avanguardia sui diritti – è una vistosa macchia nera. “Per quanto la città non abbia potere diretto sul Cpr o sul carcere minorile, è comunque territorio comunale e il sindaco deve entrarci, mettere il becco e vigilare.” continua Boni.
Come già evidenziato da altre voci autorevoli – prima tra tutte quella di Mauro Palma, Garante nazionale per le persone detenute – o reso noto all’opinione pubblica da casi di cronaca come quello di Moussa Balde, le condizioni della struttura sono tutt’altro che vicine dall’essere accettabili e i diritti umani sono violati su più fronti. L’assistenza medica è carente, e vengono assicurate appena 4 delle 24 ore giornaliere di presenza medica previste per legge. Le comunicazioni con avvocati e familiari sono rese quasi impossibili: ogni settore, che detiene almeno 30 persone, ha un solo telefono fisso e a nessuno è consentito portare il proprio cellulare personale, che viene sequestrato all’ingresso.
“La tutela e la punizione sono confuse e sfumate – spiega Magi – e nulla è regolamentato, a differenza di quanto avviene in un carcere, dove pure le violazioni dei diritti sono costanti e all’ordine del giorno.” Il centro di Torino detiene attualmente 105 persone, molte delle quali afflitte da problemi psichiatrici e sedate tramite massiccio uso di calmanti. Ma solo la metà dei trattenuti adesso presenti saranno davvero rimpatriati, per tutti gli altri è una permanenza puramente punitiva. “Per questo si tratta di luoghi che non hanno alcun senso. È una detenzione amministrativa, quindi è un giudice di pace a convalidare il fermo, cosa che non è ammessa per nessun altro cittadino. Per la persona migrante è invece politicamente accettato.”
Per molti di loro, poi, l’integrazione non è nemmeno un’opzione. “Abbiamo parlato con un ragazzo giovanissimo che ha tentato in nostra presenza un atto di autolesionismo. Ci ha poi raccontato la sua storia: aveva trovato un lavoro da poco, ma visto che non è in regola con i documenti e aveva commesso in passato reati ostativi non gli è permesso regolarizzarsi.”
Nella loro mostruosità, i Cpr sono, pertanto, solo l’ultimo anello di un sistema malfatto di gestione del fenomeno di migrazione. Lo stato nasconde le proprie responsabilità dietro quelle degli enti che ottengono la gestione del centro, che dovrebbero garantire servizi essenziali – quali, tra gli altri, assistenza medica, linguistica, di mediazione culturale – a meno di 30 euro al giorno. Condizioni inattuate e inattuabili. Per Magi, quindi “Sono dei posti irrecuperabili. Non si può nemmeno dire cosa si potrebbe fare per migliorarli, non è una situazione riformabile. Vanno cambiate le politiche di migrazione più in generale, come con la proposta Ero Straniero che abbiamo avanzato in questi anni, per fare in modo che ci sia una maggiore possibilità di regolarizzazione. La normativa deve essere comunque rigorosa, non stiamo parlando – come accusano alcuni – di buonismo, ma di un programma costruttivo, pragmatico ed effettivamente positivo, che possa contemperare gli interessi e i diritti umani di tutti.