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Iganzio Schintu della Croce Rossa italiana racconta il confine: “I corridoi umanitari non funzionano”

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Il colpo di scena è stato l’inizio. Non ci si aspettava una guerra, non si credeva fosse possibile in territorio europeo. E così sotto le bombe all’alba del 24 febbraio si riempiono zaini, valigie, trolley, con qualcosa da portare via, in fretta, perché le sirene antiaeree ululano fortissimo. Zaini, valigie e trolley che stridono sulle banchine delle stazioni di Kiev, Mariupol, Kharkiv, stipate nei bagagliai delle auto ferme al confine, bloccate in file lunghissime, altre invece sono state abbandonate per le strade di paesini fantasma “quelli dove c’è il silenzio e le barricate dei cittadini che si difendono con i fucili da caccia”. A parlare è Ignazio Schintu, direttore delle operazioni emergenza e soccorsi della Croce Rossa italiana. Ora è a Roma, ma giovedì era a Czerwinski, nel nord ovest della Romania, a 50 chilometri dal confine ucraino. 

“Più di due milioni di persone hanno lasciato l’Ucraina, 20mila sono arrivati in Italia. E i corridoi umanitari ancora non funzionano”, racconta Ignazio Schintu. Nessuno si aspettava di dover fuggire così, con le valige dell’ultimo minuto sotto braccio, nessuno si aspettava la guerra, il colpo di scena. E l’imprevisto rende tutto più difficile: manca infatti un coordinamento organico. “I corridoi umanitari si basano su accordi tra belligeranti e popolazioni locali, accordi temporanei, che compromettono la sicurezza nell’oltrepassare il confine, per ora mancano gli strumenti”. È difficile intervenire, ma le associazioni stanno comunque reggendo bene il contraccolpo della guerra. “Noi siamo continuamente in contatto con la Croce Rossa Ucraina, e abbiamo iniziato trasportando i beni di prima necessità che ci hanno chiesto. Attraverso un hub logistico distribuiamo cibo, prodotti igienici, sanitari, tutto quello che è stato raccolto viene poi distribuito in modo capillare sul territorio Ucraino”, racconta Ignazio Schintu. Lui è stato in Iraq, nel kurdistan iracheno, il campo di battaglia lo conosce bene eppure la guerra è sempre la guerra, “vedo le persone fuggire con le buste di plastica in mano, persone che, da un minuto all’altro, hanno visto la loro vita cambiare. Mi colpisce chi va oltre confine lasciandosi parte della famiglia alle spalle, tanti rimangono a combattere. È un popolo fiero”. 

Le persone fuggono, i confini si aprono ad intermittenza tra i silenzi concessi dalle bombe, alcuni passano, altri no. “È successo tutto velocemente, i profughi arrivano e bisogna capire come muoversi. L’accoglienza di pancia non è una soluzione, o meglio, può esserlo se temporanea. Servono competenze, bisogna creare integrazione, inclusione sociale. Già solo il cibo è un elemento da tenere in considerazione. Se si improvvisa poi potrebbero sorgere problemi” spiega Ignazio Schintu. 

Il Governo per ora ha stanziato ottomila posti, è un inizio. Al confine, ferme, ci sono però ancora persone con valigie, zaini e trolley che cercano di fuggire dalla guerra, “la speranza è che tutti riescano poi a tornare a casa”, nel mentre sarà necessario regolarizzare i corridoi umanitari e preparare il terreno per l’accoglienza. 

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