Domenica 12 giugno, dalle 7 alle 23, gli italiani sono chiamati alle urne per cinque quesiti referendari che riguardano il tema della giustizia. La data coincide con il primo turno di elezioni amministrative in più di 900 comuni. I quesiti referendari, promossi dalla Lega e dal partito radicale, sono cinque, ma si può scegliere di votare anche solo per uno di essi. Si tratta di referendum abrogativi, che chiedono cioè di eliminare alcune leggi. In estrema sintesi, deve votare “sì” chi è d’accordo a cambiare l’attuale legge e deve votare “no” chi invece vuole mantenere le cose così come sono. Ogni quesito, per essere valido, deve raggiungere il quorum: vuol dire che deve votare la metà più uno degli aventi diritto (50%+1). Vediamoli nel dettaglio.
Abrogazione della legge Severino
La legge Severino, approvata nel 2012 dal governo Monti, disciplina i casi di eleggibilità e candidabilità di parlamentari e amministratori locali che siano sottoposti a procedimenti penali per alcuni specifici reati. La legge prevede che parlamentari, europarlamentari e membri del governo non possano essere candidati oppure decadano dalla carica se, anche in corso di mandato, sono stati condannati in via definitiva a una pena superiore a due anni per reati di mafia, terrorismo e reati contro la pubblica amministrazione, con pena superiore a 4 anni. Per gli amministratori locali, invece, è prevista l’incandidabilità in caso di condanne definitive per mafia, terrorismo, corruzione e concussione, ma anche se hanno riportato una condanna definitiva superiore a due anni per delitti non colposi.
Votare sì sulla scheda rossa significa abrogare del tutto la legge Severino. I promotori del referendum ritengono che vada eliminato l’automatismo per i casi di incandidabilità e ineleggibilità e che vada ripristinata la libertà del giudice di prevedere, insieme alla sentenza di condanna, la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Inoltre, secondo loro è incostituzionale la sospensione degli amministratori locali in caso di condanna con sentenza non definitiva.
Votare no sulla scheda rossa significa non abrogare la legge Severino. Secondo i contrari al referendum, infatti, la legge andrebbe modificata, ma non eliminata del tutto: da mantenere, sarebbe la parte in cui si prevedono l’incandidabilità e l’ineleggibilità per i reati di mafia, terrorismo e reati contro la pubblica amministrazione.
Limitazione delle misure cautelari
Il quesito numero 2 (scheda arancione) riguarda la limitazione delle misure cautelari e l’abrogazione dell’ultimo inciso dell’art. 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale. Il referendum, in pratica, chiede se si è d’accordo o meno – quando non si tratti di reati gravi – all’eliminazione della norma sulla “reiterazione dello stesso reato” dall’insieme delle motivazioni per cui i giudici, durante le indagini e quindi prima del processo, possono decidere la custodia cautelare in carcere o i domiciliari per una persona. Oggi il giudice per le indagini preliminari, se ci sono gravi indizi di colpevolezza, può decidere le misure cautelari in tre casi: pericolo di fuga, alterazione delle prove o, appunto, reiterazione del reato.
Votare sì sulla scheda arancione significa eliminare, in alcuni casi e per reati meno gravi, il pericolo della reiterazione del reato dai motivi per cui il giudice può decidere la custodia cautelare in carcere. Chi sostiene il sì, ritiene che oggi in Italia ci sia un uso eccessivo delle custodie cautelari, con una frequente violazione del principio della presunzione di innocenza.
Votare no sulla scheda arancione significa lasciare il pericolo della reiterazione del reato tra i casi per cui è possibile chiedere una misura cautelare. I promotori del no ritengono che con un cambiamento di questa legge diventerà molto difficile applicare misure cautelari a persone indagate per alcuni reati gravi, come stalking, corruzione, estorsioni, rapine e furti. Il rischio di mettere in carcere persone innocenti, inoltre, resterebbe, perché le misure cautelari rimarrebbero in vigore per le altre motivazioni.
Separazione delle funzioni tra magistrati
Il quesito sulla scheda gialla affronta il tema della separazione delle funzioni tra magistrati – giudici penali e pubblici ministeri. Attualmente, i magistrati hanno una carriera unica: fanno un concorso uguale per tutti e poi scelgono che funzione svolgere tra giudice penale, giudice civile e pubblico ministero. Poi, in corso di carriera, possono cambiare ruolo fino a quattro volte (ma la cosa avviene piuttosto di rado: ogni anno sono in media 19,5 i magistrati che passano da giudice a pm e 28,5 quelli che da pm passano alla funzione giudicante).
Votare sì sulla scheda gialla significa raggiungere un primo stadio di separazione delle carriere dei magistrati e, secondo i promotori del referendum, questo corrisponderebbe a un riequilibrio del sistema giustizia perchè non ci sarebbero più commistioni tra il magistrato che giudica – che deve essere imparziale rispetto sia all’accusa che alla difesa – e il magistrato che svolge le indagini e accusa.
Votare no sulla scheda gialla corrisponde a lasciare la situazione così com’è. I contrari al referendum sostengono che il problema della commistione delle carriere non esista e che la vittoria del sì rappresenterebbe un rischio: isolare eccessivamente i pm e ridurre la possibilità di ogni magistrato di arricchire il proprio bagaglio di professionalità attraverso lo svolgimento di funzioni diverse.
Valutazione dei magistrati
Il quarto quesito (scheda grigia) riguarda la partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari. In particolare, il tema è l’abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte. Al momento, in Italia i magistrati vengono valutati ogni 4 anni dal Csm, che decide sulla base delle valutazioni fatte anche dai Consigli giudiziari: in questi organi territoriali, oltre che magistrati, ci sono anche avvocati e professori universitari, ma solo i magistrati possono votare nelle valutazioni professionali dei loro colleghi.
Votare sì sulla scheda grigia significa abrogare la norma che vieta ai membri laici di votare nei consigli giudiziari. Chi sostiene il sì ritiene che la magistratura, con questa modifica, sarebbe meno autoreferenziale e che la valutazione dei magistrati diventerebbe più oggettiva ed equilibrata.
Votare no sulla scheda grigia corrisponde a mantenere invariata la norma. In particolare, i sostenitori del no ritengono improprio permettere agli avvocati di giudicare i magistrati, dato che nei processi i pm rappresentano la loro controparte e le valutazioni potrebbero essere ostili o viziate da contrasti professionali.
Elezione dei membri del Consiglio superiore della magistratura
Per il referendum numero 5 si vota sulla scheda di colore verde. Il tema è l’abrogazione di norme in materia di elezione dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura. In particolare, si chiede l’abrogazione della legge 24 marzo 1958, n. 195 (“Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura”) nella parte che prevede l’obbligo di raccogliere da 25 a 50 firme per potersi candidare come membri del Csm.
Votare sì sulla scheda verde significa abrogare la norma e quindi consentire ai magistrati di presentare la propria candidatura al Csm senza l’obbligo di trovare almeno 25 firme (tornando alla legge originale del 1958). I promotori del sì ritengono che, togliendo l’obbligo delle firme, i magistrati possano sganciarsi anche dall’obbligo di trovare accordi politici, dato che queste firme sono spesso frutto dell’adesione alle varie correnti interne alla magistratura: per l’elezione, poi, verrebbe considerato il merito e non l’appartenenza politica.
Votare no sulla scheda verde significa lasciare la situazione invariata. Secondo i sostenitori del no, eliminando le firme si eliminerebbe anche una prima scrematura delle candidature: la modifica, poi, sarebbe poco rilevante e non eliminerebbe il potere delle correnti. Aspetto, peraltro, che non tutti ritengono negativo: il sistema delle correnti sarebbe semplicemente un’aggregazione di persone che condividono ideali e principi comuni.